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CANTONE«Arrivò un assegno da 3mila dollari. Pensavamo fosse falso...»

05.06.18 - 07:05
Dialogo con l'ideatore di aranzulla.it, sito da 3 milioni di euro l'anno. Domani al CineStar spiegherà come si inventa un lavoro digitale e come si fanno soldi e successo
«Arrivò un assegno da 3mila dollari. Pensavamo fosse falso...»
Dialogo con l'ideatore di aranzulla.it, sito da 3 milioni di euro l'anno. Domani al CineStar spiegherà come si inventa un lavoro digitale e come si fanno soldi e successo

LUGANO - Siciliano d'origine, milanese d'adozione. Ventotto anni, da 16 titolare del sito che risolve dubbi di tipo informatico e che oggi è fra i trenta più frequentati in Italia, il primo fra quelli che si occupano di tecnologia. Due milioni e passa di fatturato annuo, che nel 2018 dovrebbero salire a tre; 600mila visitatori al giorno. L'idea era e resta di quelle semplicissime, nata da un'urgenza in un certo senso un po' egoistica: tanto che Salvatore Aranzulla, domani al CineStar di Lugano per spiegare come si diventa imprenditori digitali (info sul sito Ated, fra gli organizzatori dell'evento), non ci mise neppure grossa fantasia nello scegliere il nome a quello che all'epoca era poco più di un blog personale.

Il suo obiettivo non era ambizioso: voleva solo risolvere i problemi tecnico-informatici degli altri, troppi, che cominciavano a importunarlo a casa. Adesso, invece, le sue "grane" sono l'Unione europea e le normative sulla protezione dei dati personali. «Alcune implementazioni sono state anche abbastanza pesanti. Ma ormai è fatta».

Ma Salvatore Aranzulla fa tutto da solo?

«Fino al 2009. Poi è arrivato Andrea. Attualmente lavorano con me otto persone, in smart working: gestiscono i tempi in base alle loro esigenze. Sei sono collaboratori editoriali, uno si occupa della parte tecnica, uno di quella commerciale». 

Ma come fa Aranzulla a sapere tutto?

«Non so tutto. Io sono il primo utilizzatore di aranzulla.it. Quando ho bisogno di sapere come fare qualcosa, vado su Google, digito la domanda. E finisco sul  mio sito».

Sorpresa.

«È impossibile che una sola persona sappia tutto. Per questo mi appoggio a specialisti che scrivono i testi. Ma ho stabilito linee editoriali molto rigide. Lo "stile Aranzulla" non è improvvisato: è codificato. Esiste un manuale operativo di cento pagine che spiega come scrivere per me».

Detto così sembra difficile. 

«In realtà si tratta di usare frasi semplicissime, comprensibili dalla maggior parte delle persone, di qualsiasi età e cultura. Soggetto, verbo e complemento, come si esprimerebbe un dodicenne: quello che ero io quando ho cominciato. Devono riuscire a capirmi tutti coloro che sono in grado di accendere un computer. Ecco, questa è l'unica cosa che il mio sito non spiega come fare».

Appunto: bella sfida, quella di voler diffondere la conoscenza della tecnologia tramite la tecnologia. Non lo trovi un paradosso?

«In effetti, sul sito puoi trovare anche come connetterti a internet, il che se ci pensi è una contraddizione. Se stai leggendo, vuol dire che lo sei già. Eppure è una delle pagine più visitate. Abbiamo anche la voce "come spegnere un computer": chi lo sa accendere non è detto sappia spegnerlo».

A te chi l'ha insegnato?

«Avevo dieci anni e un cugino cui ero affezionatissimo, Giuseppe. Lui aveva uno dei primissimi computer, di quelli senza interfaccia grafica. Ogni volta restavo stupito: digitava poche righe di comando e avviava un gioco o un programma di scrittura. Lui mi prendeva in giro. "I tuoi non te lo compreranno mai", mi diceva». 

E tu?

«Tornavo a casa piangendo e supplicavo mia mamma di prendermelo. Lei mi diceva di sì, che un giorno l'avrebbe fatto, ma non ci credeva davvero».

Come l'hai convinta?

«Andammo in un negozio di elettronica per comprare un climatizzatore. C'era una sezione dedicata ai computer. Cominciai a piangere. Il fatto è però che né io né loro sapevamo che cosa fosse quell'aggeggio che ci ritrovammo in casa, né come si usasse». 

Come l'hai imparato?

«Ogni pomeriggio tornavo da scuola, finivo i compiti e mi mettevo lì, a guardare quella scatola un po' inquietante e inutile. Non sapevo cosa farmene. Finché un caro amico di famiglia, Enzo, mi prestò una guida, di quelle composte di fascicoli che si collezionano in edicola. Io leggevo, imparavo. Quello che non era scritto, cercavo di intuirlo da solo. Intorno al 2002 mi ero costruito un discreto bagaglio di conoscenze. Si diffuse la voce che ero un genio dell'informatica. Così cominciarono a sequestrarmi».

Prego?

«Sì. Il sito nasce proprio per evitare che gli altri mi sequestrassero. La gente arrivava con i suoi problemi e voleva che andassi a casa sua a risolverli. Ma io sono una persona molto pigra, che sta bene con se stessa. Iniziai a chiedere loro di smontare i loro computer e portarmeli. Avevo allestito una stanza dedicata, c'è ancora. Nei momenti di maggiore attività avevo una quarantina di computer in casa. E cominciai anche a scrivere documenti word con le risposte ai loro quesiti. Qualche mese dopo aprii il sito. Era talmente amatoriale che era un blog personale, con le miei foto, i viaggi».

Non pensavi ancora di farne un lavoro?

«All'epoca pensavo solo che si trattasse per la maggior parte di problemi di buon senso. Il sito nasceva semplicemente per non perdere tempo. Non riuscivo più nemmeno a studiare».

A quante domande hai risposto finora?

«Su aranzulla.it ce ne sono 8'500. Sono un po' i bignami delle soluzioni a diversi problemi. Ne restano altre 600 alle quali conto di riuscire a rispondere entro la fine dell'anno». 

Poi che succederà?

«Ne arriveranno altre. Ma anche oggi l'80% del lavoro è aggiornare l'esistente. Con gli anni sono cambiati gli strumenti. Ogni volta che viene rilasciato un nuovo programma servono integrazioni. È un lavoro immane».

Come fai a capire quali sono le "domande giuste", le risposte di cui la gente ha bisogno? Chi sa non rischia di dare troppe cose per scontate?

«Non bisogna dare per scontato niente. Premesso questo, prima si analizzano le parole più digitate sui motori di ricerca. Poi si elimina tutto ciò che non è informatica. A quel punto, viene depennato quello cui già abbiamo risposto. Infine, si stabilisce la priorità degli interessi, incrociando quelli degli utenti e degli inserzionisti. È normale prendere in considerazione anche loro: la consultazione del sito è gratuita, monetizziamo grazie alla pubblicità. Se parlo di virus, ci sarà qualcuno che vuole pubblicizzare il suo antivirus su quella pagina. Ci sono anche tematiche ritenute ostili, per esempio come rubare le password di Facebook».

Le scartate?

«No. Ma hanno una priorità più bassa. Prima ci dedichiamo alle altre domande». 

Parli sempre al plurale. Ma dimmi, come si diventa tuoi collaboratori? Come li scegli?

«È un disastro. Ogni volta che lancio una ricerca, e accade spesso, ricevo circa 500 mail. Se ne salvano due. Ne prendo uno. E solo uno su 5 fra quelli che ho preso resiste. Ma chi resta, resta per sempre. Siamo una famiglia».

Come li paghi?

«Il sistema è quello dei diritti d'autore, come si fa nei quotidiani. Ma in questo caso risparmio loro lo sforzo editoriale di dover pensare delle tracce». 

Salvatore, ma per te questo è davvero un lavoro?

«Assolutamente sì. Nel 2018, si prevede che l'azienda fatturerà 3 milioni di euro. Stiamo crescendo fra il 45% e il 50% per fatturato, del 32% per visite. Ormai sono 600mila al giorno. E in Italia abbiamo già una quota di mercato del 40%».

E potrà essere un lavoro per sempre?

«Continuerà a esistere per sempre, adattando i modelli di business. È vero che ho guadagnato così tanto che poterei smettere domani».

E fare il pasticciere?

«È la mia passione. Ho frequentato i corsi di Gualtiero Marchesi. Poi ho capito che non potevo farne un business. È un'attività ad alto utilizzo di lavoro manuale, sono abituato ad altro. A lavorare con marginalità più elevate».

Ci racconti la tua giornata tipo?

«È complessa. O è vuota o pienissima. Oggi mi sono alzato alle 6. Ho lavorato fino alle 8, ho dato indicazioni ai miei collaboratori e analizzato i ricavi del giorno prima, come sempre. Poi ho analizzato i codici. Ce n'è uno che sto ultimando, ma lo farò magari dopo il pranzo, la palestra e un pisolino. Dormo sette ore a notte più una al pomeriggio. Decido io i miei ritmi. Mi piace leggere».

Cosa stai leggendo? 

«"Dr Jekyll e Mr Hyde". Insomma, cerco di vivere nella maniera più tranquilla possibile. Ho la fortuna di fare un lavoro che rende tantissimo, che mi piace, non impone obblighi». 

Tu hai inventato il "lavoro digitale". Quindici anni fa era un azzardo. Dove hai trovato il coraggio?

«In realtà ho capito che potevo farne un lavoro solo nel 2008, quando inserii un codice in pagina per misurare le statistiche e scoprii che mi visitavano 300mila persone al mese. Numeri ridicoli, confrontati con quelli di oggi». 

E...?

«Google ha un servizio per la vendita di pubblicità conto terzi. Le affidai il sito per un mese. Arrivò un assegno di 3mila dollari. I miei genitori pensavano fosse falso. Dovetti pregarli di andare in banca a verificare. Lì ho capito che potevo monetizzare la mia passione. I primi soldi li usai per pagarmi gli studi in Bocconi e non gravare sui miei genitori». 

Come si spiega a un genitore che lavoro fai? Anzi, che è un lavoro?

«Mio padre è infermiere ed è sempre stato poco interessato. Fatica ancora a comprendere. Mia madre è casalinga e ha preso consapevolezza partecipando agli aranzulla day, incontri in cui spiego come si fa un business online. Puoi dire che ti visitano 600mila persone al giorno, ma resta un numero. Davanti a 500 persone e più che vengono ad ascoltare la tua storia, invece riesci a visualizzare il successo. Gli eventi sono sold out. Per me è un modo per restituire un po' di quello che ho avuto, spiegando agli altri come si fa».

Sono gratuiti?

«No. Però non sono un lavoro. Il mio lavoro è fare il sito e vendere pubblicità». 

È su internet che andrà cercato il lavoro del futuro?

«Internet, il digitale sono solo strumenti. È giusto che continuino a esistere pizzaioli, commessi, manager». 

Tu spieghi come si diventa imprenditori digitali. Ma di lavori così ce n'è per tutti, o almeno per tanti?

«Io racconto solo la mia storia. Chi mi ascolta deve metterci del proprio». 

La tua idea in fondo è banale, probabilmente l'hanno avuta in tanti. Perché hai avuto successo tu?

«Perché ci metto la faccia. Le persone a volte mi fermano per strada e mi ringraziano. E per la quantità elevata di contenuti, sempre aggiornati». 

Ma di internet, del digitale, della tecnologia non ci dicevano che c'era da avere un po' paura?

«Sono solo mezzo. Dipende da come li si usa». 

 

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