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CANTONEUccise la moglie: condannato a diciotto anni di carcere

20.11.19 - 18:38
È colpevole di assassinio il 57enne macedone comparso alle Criminali per il delitto di Ascona
Ti Press
Uccise la moglie: condannato a diciotto anni di carcere
È colpevole di assassinio il 57enne macedone comparso alle Criminali per il delitto di Ascona

LUGANO - Diciotto anni di carcere e l’espulsione dalla Svizzera per un periodo di quindici anni. È la condanna inflitta al 57enne macedone, oggi dichiarato colpevole di assassinio. Il 23 giugno 2017 in un autosilo di Ascona uccise a colpi di pistola la moglie. Nei suoi confronti è stata riconosciuta una scemata imputabilità molto lieve.

La decisione è stata comunicata poco fa dalla Corte delle Assise criminali, presieduta dal giudice Mauro Ermani: «Per lui contava solo che la donna tornasse da lui, altrimenti l’avrebbe uccisa». Ha dunque agito «egoisticamente, considerando la moglie come fosse di sua proprietà e privando due giovani ragazze della propria madre»

Nell’aprile del 2017 l’imputato si convinse che la moglie lo tradisse con il genero. E arrivò a minacciarla con un coltello. «Quella circostanza determinò la donna a porre fine al matrimonio e alla convivenza» ha ricordato il giudice. «Da lì l’uomo ha messo in atto tutta una serie di atti invasivi e minacciosi». Sfociati poi nel fatto di sangue del 23 giugno 2017.

Il tentato suicidio? «Una messa in scena» - Il 57enne non ha collaborato «minimamente» alla ricostruzione dell’episodio avvenuto sulla rampa dell’autosilo di Ascona. «Ma la Corte non crede che non ricordi nulla». E per quanto riguarda il successivo tentato suicidio dell’imputato, il giudice ha parlato di «messa in scena». Quel giorno raccolse da terra un colpo che gli era caduto, per poi spararlo nella schiena della donna. «Ma se c’è l’intenzione di togliersi la vita, l’unico colpo rimasto non viene utilizzato in questo modo».

Le lacune dell’inchiesta - La Corte non ha risparmiato critiche nei confronti dell’inchiesta, che non è stata condotta con la giusta attenzione. Anche considerando che «l’assassinio - è stato detto nel corso del dibattimento - è il più grave reato del codice penale». Il lavoro era stato delegato alla polizia ed era stato condotto con scarsa attenzione. E sono emerse lacune concernenti l’acquisto dell’arma e la dinamica dei fatti.

L’accusa - Il procuratore pubblico Moreno Capella (che ha ereditato l’incarto da Antonio Perugini) aveva proposto una pena detentiva di vent’anni e l’espulsione dalla Svizzera per quindici, parlando di «gesto estremamente egoistico».

La difesa - Il difensore, l’avvocato Niccolò Giovanettina, puntava invece a una condanna di quattordici anni per omicidio intenzionale. Nel suo intervento aveva fatto leva su un sentimento di perdita mai elaborato che avrebbe reso il 57enne «incapace di affrontare il rifiuto della donna». Il legale non aveva mancato di criticare l’inchiesta, che ha definito come «lacunosa».

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