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CANTONEUccise la moglie: «Ma fu omicidio, non assassinio»

20.11.19 - 12:10
La difesa del 57enne autore dell’episodio di sangue verificatosi nel 2017 in un autosilo di Ascona chiede la condanna a quattordici anni di carcere. L’incarto potrebbe tornare al mittente?
TiPress - foto d'archivio
23 giugno 2017, Ascona, il posteggio sotterraneo del centro commerciale Migros.
23 giugno 2017, Ascona, il posteggio sotterraneo del centro commerciale Migros.
Uccise la moglie: «Ma fu omicidio, non assassinio»
La difesa del 57enne autore dell’episodio di sangue verificatosi nel 2017 in un autosilo di Ascona chiede la condanna a quattordici anni di carcere. L’incarto potrebbe tornare al mittente?

LUGANO - Un’inchiesta lacunosa. E un atto d’accusa che non convince. Sono i punti su cui ha fatto leva oggi alle Criminali l’avvocato Niccolò Giovanettina, difensore del 57enne che il 23 giugno 2017 uccise a colpi di pistola la moglie in un autosilo di Ascona. E ha chiesto una pena detentiva di quattordici anni.

«Si arriva in aula quasi due anni e mezzo dopo i fatti, con un atto d’accusa che era stato rispedito al procuratore perché nella sua prima versione non indicava movente e scopo dell’assassinio. Ma anche nella stesura attuale non convince» ha detto nella prima parte dell’intervento difensivo.

L’obiettivo? Dimostrare che non si trattò di assassinio, come ipotizzato dall’accusa, bensì di omicidio intenzionale. «Le argomentazioni fornite dal procuratore pubblico in aula per confermare il reato di assassinio sono diverse da quelle presenti nell’atto d’accusa, ha tentato di metterci una pezza».

L’incarto potrebbe tornare al mittente? - Movente, scopo e modalità descritte nell’atto d’accusa sarebbero quindi - a dire della difesa - «inadatte a supportare la richiesta di assassinio, sono frutto di un’inchiesta insufficiente». Ma un’eventuale violazione del principio accusatorio - se dovesse essere appurato dalla Corte - potrebbe portare al rinvio dell’incarto (che il procuratore Moreno Capella ha ereditato da Antonio Perugini) al mittente. «Al di là delle insufficienze, l’atto d’accusa pare comunque sufficiente per il reato di assassinio» ha replicato il procuratore.

Una perdita «mai elaborata» - Quale fu quindi il reale motivo alla base dell’episodio di sangue? L’avvocato parla di un sentimento di perdita mai elaborato riemerso dal passato. «Nel 2009 l’imputato ha perso la prima moglie in un incidente stradale e ha precocemente investito tutto in una nuova relazione, poi idealizzata». E quando quest’ultima ha iniziato a sgretolarsi, «è stato incapace di affrontare il rifiuto», ha spiegato riassumendo la perizia psichiatrica.

«Mi sono pentito un milione di volte» - Trattenendo le lacrime, in conclusione l’imputato ha detto: «Solo il mio cuore sa che mi sono pentito, non solo una volta, ma un milione di volte. Ho perso la persona che mi era più cara, e mi mancherà finché sarò in vita».

Per l’accusa fu assassinio - Vent’anni di carcere e l’espulsione dalla Svizzera per quindici anni: questa è invece la pena proposta dal procuratore pubblico Moreno Capella, che nel suo intervento di ieri ha definito il delitto come «una vendetta, un regolamento di conti con la donna» colpevole «di essersi ribellata alle sue angherie». E ha quindi chiesto che l’imputato sia condannato per assassinio. «È stato un gesto estremamente egoistico».

La Corte, presieduta dal giudice Mauro Ermani, dovrebbe comunicare la decisione ancora oggi, dopo le 18. Ma non è escluso che la comunicazione possa slittare a uno dei prossimi giorni.

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