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Fuori dal Tribunale «Allahu Akbar», dentro solo «no comment»

BELLINZONAFuori dal Tribunale «Allahu Akbar», dentro solo «no comment»

16.05.18 - 09:03
Chiesti 24 mesi di prigione per Blancho, Illi e Cherni, accusati di propaganda a favore del terrorismo
20minuten
Fuori dal Tribunale «Allahu Akbar», dentro solo «no comment»
Chiesti 24 mesi di prigione per Blancho, Illi e Cherni, accusati di propaganda a favore del terrorismo

BELLINZONA - È iniziato questa mattina presso il Tribunale penale federale di Bellinzona, e dovrebbe durare due giorni, il processo a carico del presidente del Consiglio centrale islamico svizzero (CCIS/IZRS) Nicolas Blancho, del responsabile della comunicazione Qaasim Illi e di Naim Cherni, tedesco membro dell'associazione islamica che vive a Berna.

Ad attendere gli imputati erano presenti diversi simpatizzanti dell'IZRS che hanno dimostrato di fronte al Tribunale con striscioni provocatori. «Paese della legge o Repubblica delle Banane?», recita uno di questi. Su altri compare la scritta "Allahu Akbar" ("Dio è grande").

Il leader dell'IZRS Nicolas Blancho si è lasciato andare in una breve predica prima di entrare in aula: «Siamo convinti che tutto andrà bene. Ci godremo questo giorno».

Nessuna dichiarazione - Fin dall'inizio, i difensori hanno puntato sul contestare le prove. L'avvocato di Blancho, Lukas Bürge, ha chiesto la cancellazione di alcune foto dal fascicolo. L'avvocato di Cherni, Michael Burkard, critica l'accusa perché le intenzioni del suo cliente sono elencate separatamente.

Per discutere delle richieste, il tribunale si è ritirato per decidere, poco dopo, di valutare la questione delle foto successivamente. Il primo a poter rilasciare la sua dichairazione è Cherni. Che però chiede di non pronunciarsi. Ad ogni domanda posta dal giudice Miriam Forni, la risposta è stata: «Mi rifiuto di parlare». È quindi il turno di Illi. Che ripete la stessa scena. 

I due dichiarano di «non voler rilasciare dichiarazioni a causa della natura politica dell'atto d'accusa». È quindi il turno di Nicolas Blancho. A sua volta si rifiuta di parlare. I tre spiegano che tutte le loro posizioni sono già presenti nel rapporto che è stato consegnato e che è caricato sul sito web dell'IZRS.

Un interrogatorio fatto di "no comment" per Cherni - Ancora una volta è Naim Cherni a doversi sedere di fronte ai giudici. Ancora una volta spiega di non voler parlare e rimanda alle dichiarazioni presenti sul sito web. Il giudice chiede a Cherni della video intervista. Se può confermare di esserne l'autore e di averla pubblicata. Cherni non dice niente. Il giudice chiede quindi se i membri del consiglio erano a conoscenza di questo video. «No comment». Alla domanda «Che cosa sapeva di Muhaysini quando lo ha intervistato?» la risposta è sempre «no comment». Il giudice chiede del secondo video "al-Fajr as-Sâdiq - The True Dawn in Syria". E la risposta di Cherni è sempre la stessa.

Cherni sembra annoiato. Appoggia la testa sul pugno e si siede liberamente sulla sedia. Nel frattempo, guarda i fogli che ha di fronte e prende appunti. Gli vengono quindi mostrate le immagini di Muhaysini di fronte alla bandiera di Al-Nusra. Questo gruppo è il ramo siriano di al-Qaeda. Anche qui il suo è un «no comment». Il giudice porta diverse prove a testimonianza del fatto che Muhaysini abbia manifestato la sua vicinanza al terrorismo, come gli elogi dopo la strage da Charlie Hebdo. Cherni, però, non raccoglie e sceglie la strada del silenzio.

Illi - È quindi il turno di Illi che nega tutte le accuse e rimanda per l'ennesima volta al rapporto dell'IZRS. Anche in questo caso si ripete la stessa sequenza di domande e di «no comment».

Blancho - Interrogato, anche il presidente del Consiglio centrale islamico svizzero Nicolas Blancho sceglie la strada del silenzio rimandando al rapporto già stilato. Blancho si siede e incrocia i piedi. Guarda direttamente i giudici. Gli viene chiesto dove abbia trovato le informazioni secondo le quali Muhaysini si sarebbe opposto alla repressione delle minoranze e avrebbe sempre invocato la clemenza nel trattare con i prigionieri. Risposta: «no comment». Il giudice fa notare alcune discrepanze tra quanto dichiarato a "WOZ" e il rapporto IZRS.

Silenzio anche dal testimone - Siccome il giornalista di WOZ, Daniel Ryser (che ha scritto l'articolo "I jihadisti di Bümpliz"), è stato chiamato a parlare alle 11 il dibattimento viene interrotto per un'ora. Poco dopo le 11 il dibattimento è ripreso con l'arrivo del giornalista di WOZ. Ryser ha subito voluto sottolineare di non essere stato messo a conoscenza delle ragioni del suo intervento al processo. Quindi chiede di potersi avvalere del diritto di non commentare il suo lavoro giornalistico e così fa. Nonostante alcune domande del giudice viene congedato dopo circa 15 minuti.

La procuratrice - A prendere la parola è quindi la procuratrice federale Juliette Noto che per prima cosa sottolinea: «Non si tratta di un processo politico. Non si tratta del ruolo dell'Islam in Svizzera o dell'Islamofobia. Fondamentalmente, non si tratta nemmeno dell'IZRS», spiega.

Per la procuratrice è «assurdo» giustificarsi affermando di essere vittime di un attacco politico. Quindi punta il dito contro gli imputati accusandoli di nascondere parole e azioni personali dietro il Consiglio centrale islamico svizzero.  

Sull'intervista ad Abdallah al-Muhaysini, Noto spiega che gli imputati sapevano che avrebbero attraversato una "linea rossa", considerato che si tratta di un saudita che la Procura federale ritiene fosse un alto rappresentante di al-Qaida in Siria, e rappresentante dell'organizzazione "jihadista" Jaysh al-Fath. «L'IZRS rappresenta Muhaysini come una figura moderata. Ma la verità è diversa», commenta la procuratrice. Il video fungeva da propaganda per la «una raccolta di fondi per forniture e armi». Sul suo sito personale Muhaysini diffonde la propagana salafita e annuncia il legame e il sostegno ad Al Qaeda. Una dichiarazione minimizzata da IZRS.

«Gli imputati - secondo la procuratrice - hanno contribuito a fornire a Muhaysini una piattaforma importante, multilingue e multimediale per promuovere la sua stessa persona e l'ideologia di Al-Qaida, l'organizzazione terroristica che rappresenta». NZZ titolava "È vietato intervistare i terroristi?". «No, non lo è - ha spiegato Noto -. Ma il lavoro di Cherni non è giornalistico».

Chiesti 24 mesi di prigione - «A causa del basso reddito e dei debiti, una multa non è appropriata». Noto richiede pertanto 24 mesi di prigione per Cherni. Chiesti 24 mesi anche per Illi e Blancho, con la condizionale. Le spese giudiziarie dovrebbero invece essere divise tra i tre imputati.

Il caso - Il presidente del CCIS Nicolas Blancho, il responsabile della comunicazione Qaasim Illi - entrambi 34enni svizzeri convertiti all'Islam - e il 26enne "produttore culturale" dell'organizzazione Naim Cherni, un tedesco residente a Berna, devono rispondere dell'accusa di aver violato la legge federale che vieta i gruppi terroristici al-Qaida e Stato islamico nonché le organizzazioni associate.

Il Ministero pubblico della Confederazione in settembre li ha rinviati a giudizio per alcuni video ritenuti opera di propaganda a favore di al-Qaida o di un gruppo ad essa associato. Cherni è accusato di aver fatto le riprese nell'ottobre del 2015 in Siria. I filmati sono stati poi approvati da Illi e pubblicizzati in accordo con Blancho tramite social media e anche in occasione di una manifestazione pubblica a Winterthur nel dicembre 2015.

Nei video è contenuta in particolare una intervista ad Abdallah al-Muhaysini, un saudita che la Procura federale ritiene fosse un alto rappresentante di al-Qaida in Siria, e rappresentante dell'organizzazione "jihadista" Jaysh al-Fath.

Secondo l'accusa le immagini con al-Muhaysini non sono "un'intervista giornalistica in esclusiva" condotta secondo le regole della professione, quanto piuttosto una piattaforma di propaganda islamista per lo stesso al-Muhaysini. Quest'ultimo parla per oltre 35 minuti mentre il contributo totale dell'intervistatore Cherni non supera i due minuti.

I tre imputati negano recisamente, così come l'interessato stesso. In una conferenza stampa organizzata lunedì a Berna, il CCIS, gruppo islamista piccolo ma molto attivo, ha sostenuto che al-Muhaysini non è mai stato membro di al-Qaida o della sua succursale siriana an-Nusra ma un "costruttore di ponti" tra i vari gruppi ribelli siriani e un attivo oppositore dello Stato islamico (Isis). Il CCIS ha pure anticipato che davanti al TPF i tre imputati rimarranno in silenzio e non risponderanno alle domande.

Il verdetto - Per il verdetto bisognerà attendere il 25 maggio. Gli imputati rischiano fino a 5 anni di reclusione.

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