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BELLINZONA«La clinica non avrebbe potuto evitare l'errore»

26.04.18 - 14:39
Nel processo ai quattro giornalisti per gli articoli sul Sant'Anna, l'accusatore privato sostiene che si trattò di diffamazione
Il rappresentante legale della clinica Edy Salmina (a sinistra).
«La clinica non avrebbe potuto evitare l'errore»
Nel processo ai quattro giornalisti per gli articoli sul Sant'Anna, l'accusatore privato sostiene che si trattò di diffamazione

BELLINZONA - Oltre quaranta articoli, con tanto di fotografie e fotomotaggi. Per una durata di tre mesi, ossia otto edizioni del domenicale. Questo è sufficiente per parlare di diffamazione, secondo l’avvocato Edy Salmina. Il rappresentante legale della Clinica Sant’Anna ha concluso poco fa il suo intervento nel processo ai quattro giornalisti che si trovano davanti alla Pretura penale, presieduta dal giudice Siro Quadri, per la pubblicazione di una serie di articoli riguardanti l’errore sanitario che nel 2014 portò il chirurgo Piercarlo Rey ad asportare i due seni alla paziente sbagliata. «Il processo contro il dottor Rey è diventato un processo alla clinica nel suo insieme» ha sottolineato Salmina.

La responsabilità è soltanto del medico - I dubbi sollevati dagli articoli incriminati erano legati al fatto che solo il chirurgo sia finito sotto inchiesta, quando in un settore come quello sanitario dovrebbe essere la struttura a fornire un sistema di sicurezza e di controlli che impedisca che un errore umano possa portare alle peggiori conseguenze. L’avvocato Salmina non ci sta: «La Commissione di vigilanza sanitaria o il decreto del procuratore pubblico, ma anche il rapporto del medico cantonale o ancora le risposte del Governo a un’interrogazione di Matteo Pronzini hanno evidenziato che la clinica non avrebbero potuto evitare ciò che è successo». La responsabilità dei fatti sarebbe dunque da attribuire unicamente al medico in questione. «Rimproverare alla clinica di aver favorito il comportamento del dottor Rey è non vero e quindi diffamatorio, come pure accusare la clinica di favoreggiamento».

Buona fede? «Non è stata provata» - I giornalisti, come da loro stessi ribadito, nel loro lavoro d’inchiesta avrebbero agito in buona fede. Salmina ha però detto: «Non si può parlare di buona fede, perché questa va provata. Ma i giornalisti, per proteggere le fonti, questi elementi non li hanno forniti». In pratica, un giornalista dovrebbe decidere se tutelare le fonti o la propria incolumità penale. Nel suo intervento, il rappresentante della clinica ha anche parlato di libertà d’espressione e di parola, «che non è assoluta, ma deve rimanere nei limiti imposti dalla legge, senza eccessi».

Risarcimento in beneficenza - Le richieste di risarcimento avanzate dall’accusatore privato non sono state quantificate. «Lascio che sia il giudice a farlo», ha affermato Salmina, spiegando inoltre che «l’eventuale somma sarà interamente e simbolicamente devoluta alla Lega svizzera contro il cancro».

La parola è dunque passata al difensore, l’avvocato Luca Allidi.

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