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BELLINZONAIl tecnico di sala operatoria: «Non mi sento un passaferri»

02.11.20 - 15:40
Il calcio e la sala operatoria. Angelo Raso porta avanti da anni la sua passione per il pallone e il lavoro in ospedale
Glamilla
Il tecnico di sala operatoria: «Non mi sento un passaferri»
Il calcio e la sala operatoria. Angelo Raso porta avanti da anni la sua passione per il pallone e il lavoro in ospedale

BELLINZONA - Angelo Raso, 39 anni, è un tecnico esperto di sala operatoria e parla di una professione più complessa di quello che ci si può immaginare.

Cosa fa un tecnico di sala operatoria?
«Tanti pensano che il mio lavoro consista unicamente nel passare gli strumenti al chirurgo. In realtà è più articolato. Noi ci occupiamo della preparazione e del posizionamento del paziente, una fase delicata in cui dobbiamo fare attenzione a che nessun nervo venga schiacciato. Controlliamo inoltre con i colleghi che il paziente non presenti allergie o che non abbia fatto interventi in precedenza che potrebbero creare problemi. Ovviamente prepariamo anche gli strumenti, siamo responsabili della loro sterilità e assistiamo il chirurgo durante tutto l’intervento».

Quali sono le caratteristiche per svolgere questo ruolo?
«Bisogna essere in grado di sopportare lo stress che implica un intervento chirurgico, con eventuali complicazioni. Inoltre, è richiesta la capacità di stare in piedi per molte ore. Ci sono interventi che durano 20 minuti e altri 8 ore, durante i quali non si può fare pausa».

Quando c’è un decesso come si supera?
«Sono rari, ma può capitare ed è molto importante fare un debriefing con i colleghi. Inoltre c’è la possibilità di avere un supporto psicologico. Per fortuna a me è successo una volta sola».

Quante persone partecipano a una operazione?
«Per un intervento standard è presente il medico, l’assistente, l’infermiere di anestesia, l’anestesista e due tecnici di sala operatoria. Un tecnico è completamente sterilizzato e durante l’intervento sta accanto al chirurgo, mentre l’altro ha la funzione di “volante”: è fuori dal campo sterile e procura al primo gli strumenti in aggiunta».

Cosa l'ha portata a diventare tecnico di sala operatoria?
«Dopo la scuola dell’obbligo, ho svolto l’apprendistato di elettricista, ma mi sono reso conto che non era la mia strada e ho fatto un anno di maturità professionale. Poi mi sono orientato verso il tecnico di sala operatoria e dopo qualche stage in ospedale sono stato conquistato da questa professione».

Come ha fatto a gestire l'impegno in ospedale e la carriera calcistica?
«I miei responsabili hanno sempre capito che non si trattava di un hobby, ma era sport d’élite e quindi mi sono venuti incontro. Quando ho raggiunto la promozione in Super League con l'AC Bellinzona nel 2008, mi è stato proposto un contratto da professionista e ho deciso di accettare e godermi la vita calcistica al 100%, prendendomi una pausa dal mio lavoro».

Tante soddisfazioni ma anche momenti difficili...
«Ho avuto un brutto infortunio e quindi sono stato fermo un anno tra operazione e riabilitazione. All’inizio avevo provato a rientrare, ma la gamba non reagiva come mi aspettavo. Non è stato un periodo facile, perché staccare completamente da un momento all’altro mi ha destabilizzato. Alla fine ho scoperto anche un lato piacevole, quello del settore giovanile, e ho cominciato a seguire i vari corsi per diventare allenatore. Oggi continuo per piacere». 

Dalla promozione in A sul campo all’ospedale
Angelo Raso ha cominciato a giocare a calcio a Bellinzona da giovanissimo fino ad arrivare alle soglie della prima squadra, nella quale è riuscito ad entrare nel 2003 mentre ancora studiava per diventare tecnico di sala operatoria. Nel 2008 il grande successo: il Bellinzona ha ottenuto la promozione in Super League dopo 18 anni di assenza. «È stata una grandissima emozione e sono contento di aver continuato con la maglia granata», dice Raso. «Bellinzona è una società che mi ha dato moltissimo».

Di ritorno in Ticino, dopo quella magica sera di San Gallo, la squadra era stata accolta dai tifosi, ma per Angelo Raso era stata una notte di festeggiamenti più sobri: «Avevo il turno in ospedale alle 6 del mattino e quando sono arrivato al lavoro i miei colleghi mi hanno accolto trionfalmente. Con l’adrenalina ancora in circolo ho sentito la stanchezza solo la sera».

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