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Don Mino e il Covid-19: «Tutti quei morti in solitudine mi fanno stare male»

CANTONEDon Mino e il Covid-19: «Tutti quei morti in solitudine mi fanno stare male»

10.04.20 - 12:09
Una Settimana Santa senza celebrazioni religiose comunitarie. Il nuovo coronavirus visto dal Vescovo emerito.
Ti-Press
Don Mino e il Covid-19: «Tutti quei morti in solitudine mi fanno stare male»
Una Settimana Santa senza celebrazioni religiose comunitarie. Il nuovo coronavirus visto dal Vescovo emerito.
Piergiacomo Grampa a ruota libera: «Mi fa piacere che la Chiesa abbia trovato soluzioni intelligenti. Grazie anche alle nuove tecnologie. Ai tempi della peste si pregava in massa, e si moriva».

CASTEL SAN PIETRO - Una Settimana Santa senza celebrazioni religiose comunitarie. Una Pasqua “virtuale”. Surreale. Quasi sospesa nel tempo, a causa del Covid-19. Ci si arrangia come si può. Con sacerdoti che comunicano via streaming, tramite Facebook, Instagram o TikTok. Poi, certo, ci saranno le messe da seguire in televisione. Ma non è la stessa cosa di sempre. «Siamo davanti a qualcosa che mette l’uomo di fronte alla propria fragilità – sussurra Piergiacomo “Mino” Grampa, Vescovo emerito della Diocesi di Lugano –. Mai come in questo periodo dobbiamo ricordarci che l’uomo non è solo corpo. Bensì anche anima e spirito».

Quel fastidio nel non vedere un’unità – Vulcanico come al solito. Ma anche dolce e premuroso verso chi sta attraversando momenti difficili. Don Mino ci parla dalla Fondazione Sant’Angelo di Loverciano, a Castel San Pietro, il luogo in cui abita ormai da qualche anno. «Io di anni adesso ne ho 84. Ho sempre tanti impegni e l’energia non mi manca. Personalmente mi pesano tutte queste limitazioni che ci sono state imposte. Limitazioni giustificate, per carità. Vi sto parlando da essere umano. Mi manca il contatto con la gente. E provo un tremendo fastidio nell’apprendere dai media che non si riesca a combattere questa pandemia in maniera unita».  

Scelte sagge e intelligenti – Una Pasqua senza cerimonie religiose pubbliche? Don Mino vede il lato positivo della medaglia. «Nel passato si rispondeva alle epidemie moltiplicando devozioni e preghiere. Durante la peste, ai tempi di San Carlo Borromeo, i religiosi e il popolo si radunavano in massa, non facendo altro che alimentare il contagio. Apprezzo che la Chiesa di oggi sia stata capace di leggere i segni dei tempi in maniera saggia e intelligente. Così come mi fa piacere constatare che i nuovi mezzi di comunicazione riescano a supplire i riti a cui la gente non potrà partecipare di persona». 

Non avere paura del domani – Il Vescovo emerito ricorda poi il significato della Pasqua. «È la festa del passaggio, che non è solo “virtuale”, bensì storico e reale. Non dobbiamo mai perdere la dimensione spirituale. Perché indebolirebbe la speranza, la voglia di lottare. Avere fede significa non avere paura del domani. Questo è il momento di avere fede. Cioè credere che ci sia un “domani”, che ci sia un “dopo”».

Gli interrogativi sulla morte e sul senso della vita – Un’affermazione di non poco conto allo stato attuale delle cose. «Credetemi, sapere che migliaia di persone stanno morendo senza potere vedere i propri cari mi fa stare male. Mi fa soffrire. Emotivamente è una violenza all’integrità delle persone e dei valori. Oggi come non mai ci troviamo a interrogarci sulla morte. Su quello che ci sarà dopo. Sul senso della vita. Non sono domande banali quelle che ha risvegliato in noi l’arrivo del Covid-19».   

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