Il fenomeno è stagionale ma la crisi attuale potrebbe averlo accentuato. GastroTicino commenta il calo: «Problematiche le chiusure nei piccoli paesi»
LUGANO - I prezzi non sono proprio da saldi, ma la sfilza di annunci sembra suggerire una (s)vendita in atto. O comunque un fermento. Suggerire, perché - sfogliando i giornali - si ha la forte impressione che gli strilli “Cedesi bar” siano davvero tanti, c’è chi dice troppi. Ma è proprio così? Qualche addetto ai lavori, senza voler apparire, segnala una compressione del valore degli "inventari", nonché una maggiore difficoltà nella cessione dei locali. Anche alla luce del fatto che sarebbero di più le chiusure delle aperture.
«Periodo difficile, ma...» - Una tesi che il presidente di GastroTicino Massimo Suter non conferma del tutto: «Esiste una certa ciclicità, a gennaio il fenomeno è più marcato e può essere amplificato dalla situazione congiunturale non positiva. Ma a fronte di un locale che chiude ce n’è uno che apre. L’equazione tiene ancora. Si parla di alcune centinaia di cambi gestione/gerenze durante l’anno».
Il calo degli associati - Il barometro dei soci (va detto non tutti lo sono) segna tuttavia una contrazione. Il sito di GastroTicino registra ancora l’adesione di 1.600 esercizi pubblici: «Ma la cifra più aggiornata si aggira attorno a 1.520 - dice il direttore Gabriele Beltrami -. Non è per forza un male, visto che siamo il cantone svizzero con la maggior densità di esercizi pubblici». Ogni 125 abitanti ce n’è uno, quando la media nazionale è di uno ogni 260. «Il rischio purtroppo - aggiunge Beltrami - è che chiudano nei piccoli paesi e ne aprano troppi in città. La chiusura di un ristorante di paese è una perdita per la comunità».
Numeri contrastanti - Fallimenti, chiusure, cambi di gestione. Non è semplice fotografare un mondo in mutazione continua come quello della ristorazione. I numeri, forniti dall’Ufficio cantonale di statistica, confermano la tendenza. Ad esempio quella che i bar, dal 2011 al 2017 (ultimi dato disponibile), sono scesi da 309 a 277. Per contro i ristoranti e locali per la piccola ristorazione, nello stesso periodo, sono aumentati da 1037 a 1239.
L’avviamento non c’è più - La crisi appare più marcata per i piccoli locali. Un aspetto non secondario riguarda poi il riscatto dell’inventario la cui cifra, negli annunci, per i centri urbani supera spesso agevolmente i centomila e franchi. A tal proposito Suter spiega che «non è più usuale scindere tra inventario (i beni materiali, come arredamento, bancone, attrezzatura di cucina, ndr) e avviamento, ossia il “pacchetto clienti”. Tanto che quest’ultimo aspetto ha perso nel corso degli anni sempre più valore».
La clientela ballerina - Il “portafoglio clienti” resiste come valore impalpabile ed è di fatto l'eredità obsoleta di un passato in cui, per dirla con le parole del presidente di GastroTicino, «il cliente era decisamente più fidelizzato al locale e meno incline alle bizze del cambio di gestione. Oggi, invece, la clientela tende a seguire il ristoratore che lascia per aprire un altro esercizio. Di conseguenza, «il compratore è sempre meno disposto a pagare un’ipotetica clientela».
E l’inventario traballa pure - Svuotato del valore aggiunto della clientela e dal fatto che i locali invecchiano rapidamente, anche l’inventario traballa. Di fatto, dice Suter, «è sempre meno usanza ritirarlo. Il settore è più succube delle mode e dopo cinque anni un locale può essere “vecchio”». Mutamenti che sono ormai digeriti dai giovani gerenti, ma che possono «mettere in difficoltà gli esercenti in uscita per età o motivi di salute. Il mancato riconoscimento del “pacchetto clientela” può diventare allora un problema».