L'ultimo procedimento penale aperto nel 2003 è finito con un decreto d'abbandono per prescrizione. La beffa subita dal coltivatore cui è stato negato il risarcimento per mezzo milione
SEMENTINA - Là dove c’era l’erba oggi, nonostante la tempesta giudiziaria, si coltiva ancora. L’attività economica è infatti sopravvissuta a quella che fu verosimilmente l’ultima operazione contro la canapa indoor. Correva il marzo 2003 quando un centinaio di agenti fecero irruzione in una piantagione di Sementina, sequestrarono migliaia di talee e sigillarono tutte serre. La distruzione di normali ortaggi e fiori, che erano la parte principale della produzione, fu il primo danno di un’incredibile odissea giudiziaria proseguita per 16 anni, fino allo scorso dicembre, quando la Camera dei reclami penali ha negato al proprietario dell’azienda ogni risarcimento. A suo favore non ha pesato il lungo tempo trascorso e neppure il decreto di abbandono firmato lo scorso anno dal procuratore pubblico Nicola Respini.
L'ultimo acuto - I protagonisti di allora sono oggi a riposo, a partire dal procuratore pubblico Antonio Perugini che di quella crociata fu il primo tenore… È in pensione anche il coltivatore che finì sotto la lente degli inquirenti. Agli occhi della magistratura incarnava l’ultimo ingranaggio di un meccanismo che nel decennio precedente aveva visto il fiorire di oltre 90 negozietti, i canapai dove venivano venduti i “sacchetti profumati”. Lui difficilmente dimentica i 29 giorni di carcerazione preventiva, i 90 giorni di condanna sospesa inflitta alla moglie, i soldi sequestrati per quasi tredici anni, il rischio fallimento per i crediti bloccati con le banche e il danno economico e morale quantificato in oltre mezzo milione di franchi. «L’inchiesta è finita in nulla dopo quasi sedici anni di graticola. A dicembre 2019, dopo il decreto d’abbandono di marzo, i giudici mi hanno negato ogni risarcimento perché con la mia attività avrei provocato l’apertura del procedimento...» racconta l’uomo a Tio/20Minuti.
«Mi fecero marcire tutto» - «Avrei potuto ancora ricorrere al Tribunale federale ma ho lasciato perdere. Ho capito che anche a Losanna attorno alla canapa non tira aria favorevole» continua l’uomo. «Avevamo due ditte registrate, una che produceva piantine di cannabis, e l’altra fiori e ortaggi. Mi bloccarono entrambe le attività, sigillarono le serre per un mese facendo marcire tutto». Ma se dal letame nascono forse i fiori, nulla è di fatto sortito dall’ultima - tartarughesca - inchiesta giudiziaria del filone Canapa Indoor. «Dopo 15 anni è andato tutto in prescrizione» spiega il coltivatore.
«Era tutto alla luce del sole» - Su cosa abbia rallentato l’inchiesta il protagonista qualche idea ce l’ha e pure qualche sospetto che però non vuole rivangare: «Semplicemente non avevano prove contro di me. Avevamo creato una ditta che produceva talee, quando in Svizzera era proibito il commercio del fiore come stupefacente. Noi vendevamo solo piantine. Aggiungo anche che, a differenza dei canapai, io tenevo una piena contabilità della mia attività. Tutto avveniva alla luce del sole. Avevo anche assunto come amministratore della società un noto avvocato di Bellinzona...». Quest'ultimo non è mai stato interrogato dagli inquirenti, nonostante l’esplicita richiesta dell’avvocato Marco Broggini che ha assistito il coltivatore negli ultimi anni.
L'avvocato: «Stato contraddittorio» - «Questo caso - sottolinea a mo’ di commento lo stesso Broggini - è emblematico, nel senso che fa ben capire la contraddittorietà, tanto per usare un eufemismo, dell’atteggiamento tenuto dallo Stato verso il prolificare del fenomeno canapa». All’epoca lo Stato aveva chiuso entrambi gli occhi su un settore dove a partire dai primi anni 90 e per più di un decennio fiorirono 90 canapai e innumerevoli coltivazioni . «In questa situazione rimproverare al mio cliente di aver causato l’apertura del procedimento penale a suo carico è semplicemente insostenibile».