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CANTONENon è più il tempo delle mele: il frutticoltore diventa specie rara

22.12.19 - 20:43
Continua l'erosione dei terreni destinati alla coltivazione professionale della frutta. Ma qualcuno resiste in un mercato che esige prodotti sempre più perfetti e meno trattati
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Non è più il tempo delle mele: il frutticoltore diventa specie rara
Continua l'erosione dei terreni destinati alla coltivazione professionale della frutta. Ma qualcuno resiste in un mercato che esige prodotti sempre più perfetti e meno trattati

SANT’ANTONINO - «Sono l’ultima mosca bianca rimasta». Tra i professionisti della frutticoltura c'è quasi solo lui. Cesare Bassi incarna l’altra metà della mela "made in Ticino". Il suo meleto sul Piano di Magadino si estende infatti su quindicimila metri quadrati. In pratica i suoi alberi, da soli, coprono quasi il 50% dei 37’100 m2 ancora destinati al frutto di Eva. 

Tutti i frutti - L’erosione delle colture frutticole in Ticino ha subito un’accelerazione negli ultimi anni (complice, sottolinea Bassi, «la sparizione di almeno due grossi frutteti»). Un po’ come i ghiacciai, secondo gli ultimi dati dell’Ufficio cantonale di statistica, le piantagioni si stanno sciogliendo sotto un sole sempre più generoso. Non solo le mele, che ancora nel 2014 raggiungevano una superficie di 101’000 m2, anche le pere (passate negli ultimi 5 anni da 18’700 m2 a 1’900 m2), le albicocche (da 1’000 a 300), le prugne (da 10’500 a 2’600), le pesche (da 5’900 a 1’500). Resistono solo ciliegie e noci (ma sono numeri minuscoli). 

Un lavoro faticoso - «I problemi con cui si è confrontati sono molteplici» spiega Bassi. «A monte c’è però il fatto che l’attività richiede molto lavoro, l’80% è ancora manuale» e le incognite sul raccolto sono sempre nuove e in evoluzione. Manualità significa anche soddisfare le esigenze del mercato senza eccedere coi prodotti fitosanitari. «Sono il primo a mangiare le mele che produco, per cui non ho mai voluto effettuare troppi trattamenti». Schivare le scorciatoie, certo, ma poi, aggiunge, «senza qualità non si va da nessuna parte. Alla prima macchia di ticchiolatura chi compra chiude un occhio, ma spuntata la terza tutte le mele vengono rimandate indietro». L'aspetto paradossale è che «il consumatore cerca frutta poco trattata, ma respinge la minima imperfezione».

I nuovi nemici - «Un altro problema è rappresentato dalle nuove malattie e non solo. Ad esempio la cimice asiatica, che due anni fa mi ha causato danni enormi» ricorda il frutticoltore di Sant’Antonino. I rimedi? «L’Ufficio fitosanitario cantonale ci aiuta molto, ma non può essere onnipresente» dice Bassi. «È una battaglia difficile perché un intervento chimico rischia di distruggere anche gli eventuali organismi antagonisti».

Risparmiati dal clima - Finora non sembra aver influito molto sul settore frutticolo ticinese il cambiamento climatico. «Ho fatto grossi investimenti in opere di protezione - sottolinea Bassi -. Il rischio principale che intravedo è quello delle forti gelate in primavera. Finora, toccando ferro, l’ho scampata. Il nostro padrone resta comunque il cielo».

L’agronomo: «Puntiamo sulle varietà resistenti»
«In Ticino la frutticoltura professionale non è sentita come la viticoltura che è figlia di una tradizione tramandata» dice Alberto Sassella, agronomo. Il che non significa arrendersi, soprattutto a livello amatoriale. «Il 17 ottobre 2020 celebreremo al Mercato Coperto di Giubiasco il giubileo per i 75 anni dell’Associazione dei frutticoltori ticinesi». Un aspetto positivo, sottolineato dall'esperto, è rappresentato dal recupero delle varietà di un tempo. «Penso, ad esempio, ai progetti di ProFrutteti e Capriasca ambiente. In Valle di Blenio stiamo studiando invece il recupero delle pere. Lo sforzo, con il sostegno anche della Confederazione, è indirizzato alla biodiversità e alle varietà resistenti a funghi e malattie. È la strada da percorrere per fare pochi trattamenti». Frutteti intensivi, invece, ce ne sono pochi oggi, e anche i flop in passato non sono mancati: «Si è cercato di lanciare la pesca sul finire degli anni ‘40, un po’ come il Vallese con le albicocche. Però le varietà scelte non erano adatte. Coi meli è successa in pratica la stessa cosa, penso alla Golden sensibile alla ruggine. Ma c’è un ritorno sul fronte della coltivazione familiare».

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