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CANTONENoi, fissati sulla crescita del PIL: «È una dipendenza»

29.10.19 - 06:10
Numero imprescindibile per i politici, secondo l'autrice di "L'economia della ciambella", è un concetto da superare, soprattutto in Occidente
Kate Raworth
Noi, fissati sulla crescita del PIL: «È una dipendenza»
Numero imprescindibile per i politici, secondo l'autrice di "L'economia della ciambella", è un concetto da superare, soprattutto in Occidente

LUGANO - Con il suo "L'economia della ciambella", Kate Raworth, docente di economia ad Oxford e Cambridge, ha delineato un nuovo paradigma per una crescita economica giusta e rispettosa dell'umanità e del pianeta. In marzo sarà persino ospite ad Assisi di "The Economy of Francesco", la "Davos francescana" indetta dal papa.

Oggi, dalle 8.15, terrà al Centro esposizioni di Lugano una lezione organizzata da Franklin University Switzerland, Usi e Supsi sulla sua teoria e la sua applicazione ad Amsterdam. L'abbiamo intervistata.     

Signora Raworth, in “l'Economia della ciambella” lei critica il concetto di crescita infinita del prodotto interno lordo (PIL), ma non è la prima a farlo. In che cosa è diverso il suo approccio?  
«La gente critica l’idea che la crescita sia l’obiettivo già dagli anni 1960. In un discorso ormai famoso, Robert Kennedy affermava: “Il PIL misura tutto eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”. La tentazione della politica di misurare il successo di un’economia con un solo numero, tuttavia, è così forte che è rimasta. I detrattori del concetto di PIL, inoltre, hanno continuato a criticarlo senza provare a sostituirlo con qualcos’altro. A tal proposito, amo una massima di Buckminster Fuller che recita: “Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un nuovo modello che renda quello esistente obsoleto”».

Che cosa non va nel concetto di PIL?
«Il concetto di PIL è molto recente. L’idea che il progresso si misuri con la crescita non ha nemmeno cento anni. È comparsa negli Stati Uniti negli anni 1930 quando a Simon Kuznets è stato chiesto di elaborare un singolo indicatore per misurare l’andamento dell’economia. Il motivo per cui l’economia nel XX secolo cresceva così, però, era perché era basata sui combustibili fossili, che garantivano molta energia a buon mercato. La crescita è quindi diventata la normalità ed è stata inscritta nella struttura delle nostre istituzioni finanziarie e politiche, ma è di fatto una dipendenza». 

Perché la ciambella?
«Ho disegnato per la prima volta la ciambella nel 2012. Avevo visto il diagramma dei confini planetari e ne ero rimasta molto colpita. Letteralmente. Su quel diagramma ho elaborato il cerchio sociale interno, che ha poi trasformato il tutto in una ciambella. L’idea ha avuto subito grande risonanza nella comunità dello sviluppo internazionale: la metafora visiva funzionava».

Come mai pensa che la sua idea funzioni?
«La metafora visiva del PIL è una curva di crescita esponenziale, una linea che non smette di salire senza fine fino a bucare il soffitto. La ciambella, invece, è una metafora visiva molto diversa: parla di equilibrio e la salute sta nell’equilibrio, non nella crescita infinita. Lo vediamo al livello del nostro corpo: dobbiamo avere abbastanza cibo, fare abbastanza esercizio, mantenere una temperatura adeguata, disporre di acqua e ossigeno a sufficienza, ma senza eccedere in nessuna di queste cose. Per il pianeta vale lo stesso». 

La popolazione mondiale, però, cresce costantemente. Non è normale che anche il PIL debba crescere?
«La popolazione mondiale sta crescendo, ma non direi che stia crescendo costantemente. Sta crescendo, ma dal 1971 a questa parte lo fa sempre più lentamente. E si stabilizzerà. A 9, 12, 15 miliardi di persone? Sta all’umanità deciderlo. Gli strumenti per rallentare il tasso di crescita li abbiamo: la salute pediatrica, l’istruzione femminile, l’autoaffermazione delle donne, i diritti riproduttivi». 

D’accordo. Lentamente, ma continuerà ad aumentare...
«Avremo bisogno di più cibo, case e scuole e il PIL potrebbe continuare a crescere globalmente, ma sono i Paesi a basso reddito a doverne approfittare. Per me il focus della critica del PIL non sono la Nigeria o il Kenya: questi Paesi meritano e hanno bisogno di un maggiore reddito per promuovere i diritti delle loro popolazioni. Per me, il dibattito si focalizza sui Paesi ricchi come il mio - il Regno Unito - o la Svizzera, gli Stati Uniti o il Canada. Abbiamo un reddito più alto di qualsiasi generazione che ci abbia preceduti: non è bizzarro che i nostri economisti continuino a sostenere che il successo dei nostri Paesi dipenda da ancora più crescita? Questo è segno di una dipendenza». 

L’importanza della crescita economica è ancorata nella testa dei politici quanto in quella della gente comune. Sarà difficile scardinarla?   
«Negli anni ‘30 e ‘40 Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud, ha scoperto che la psicoterapia dello zio poteva essere trasformata in “retail therapy”, o terapia dello shopping. Si basa sul principio che le persone sono profondamente insicure e hanno bisogno di sentirsi amate o ammirate. Gli si dice quindi “Se possiedi quest’auto sarai ammirato”. Ora dobbiamo smontare questa connessione. Nel corso della vita, del resto, la gente capisce da sola che non sono gli oggetti a renderla felice. Avere una connessione con gli altri, aiutare gli altri, essere connessi con la natura, essere attivi fisicamente, imparare cose nuove: queste sono le cose che rendono le persone felici».

Nota segnali di cambiamento?
«Quello che trovo sorprendente nel corso dell’ultimo anno è che dei giovani in città di tutto il mondo stiano scendendo in strada e scioperando da scuola non per chiedere di avere di più di quello che hanno avuto i loro genitori, ma di avere una stabilità climatica. Hanno capito che avere di più non è meglio, che la stabilità e l’integrità ecologica sono meglio. È una grande cambiamento».  

Finora, però, l’economia capitalista è stata mossa dalla ricerca del massimo profitto, anche personale. L’economia può essere altrettanto dinamica senza questa molla?
«Conta molto chi possiede la singola azienda: una famiglia, un imprenditore fondatore, i dipendenti stessi, gli azionisti. Tutti questi modelli hanno obiettivi diversi. I grandi azionisti e le corporation sono spesso obbligati legalmente a massimizzare i profitti e a volta lo fanno a scapito dell’umanità, del pianeta e del futuro stesso della compagnia. Ma se si fa ricerca tra le piccole e medie imprese, specialmente quelle a conduzione familiare, non si incontrano dei massimizzatori di profitti. Queste realtà sono spesso mosse da valori differenti e vogliono perseguirli a più lungo termine immaginando che i figli e i figli dei loro figli erediteranno la compagnia». 

La svolta verde che sta interessando molti Paesi è la grande chance per un passaggio all’“economia della ciambella”?
«Il fatto che molti politici mainstream adesso stiano dicendo “Abbiamo bisogno di un green new deal”, significa che sempre più stanno cercando un modello che la possa incorporare. Ricevo quotidianamente sempre più telefonate dal Regno Unito in cui mi si chiede di parlare al Ministero delle finanze, ai consiglieri di gabinetto, alla Camera dei Lord. È molto interessante che, nel cuore del governo, si cerchino nuovi modelli per sostituire il concetto di PIL, che non funziona più».      

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COMMENTI
 

Zico 4 anni fa su tio
gli stessi politici che hanno votato l'ora legale per dimostrare quanto si sarebbe risparmiato. passati 25 anni si sono accorti che i contadini bovari dell'Entlebuch avevano ragione! ed ora la tolgono. ma le laute pensioni questi parassiti UE se le sono tenute e non si è mai visto un mea culpa!

F.Netri 4 anni fa su tio
Davvero un bel "minestrone"! Che porta ormai sempre e solo all'utopia di riuscire a mettere un climatizzatore al Pianeta. Un'economia condotta ormai solo da guru e sciamani. Staremo a vedere.
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