Si abbassa sempre di più l’età in cui i ragazzini hanno il primo approccio con le nuove tecnologie. “Colpa” anche delle cattive abitudini dei genitori? L’analisi dell’esperta Eleonora Benecchi
LUGANO – È una scena che si nota sempre più di frequente. Il bimbo agitato al ristorante. E il genitore che per calmarlo gli mette tra le mani l’iPhone o l’iPad. Fotogrammi inquietanti di un’epoca schizofrenica. In cui (fonte NET-Metrix) la metà degli under 14 svizzeri è connessa a Internet e il 67% guarda video in streaming. E in cui l’approccio con le nuove tecnologie è sempre più precoce. Un fenomeno finito recentemente sotto la lente di Eleonora Benecchi, docente di culture digitali all’Università della Svizzera italiana (USI).
Professoressa, che radiografia ci può dare?
«Da anni studiamo il tema con i partner dello ZHAW di Zurigo e dell'Università di Ginevra. Stiamo concludendo la nuova edizione dello studio MIKE, che indaga il rapporto dei bambini dai sei ai dodici anni con i media. I bambini usano con altissima frequenza cellulari. La metà degli oltre mille bambini che hanno partecipato alla ricerca ha un proprio cellulare. Il tablet è abbastanza utilizzato, ma è il cellulare il media preferito».
Qual è la tendenza?
«Il contatto con le tecnologie digitali è ampio e frequente. E cresce con l'aumentare dell'età».
Under 12 perennemente incollati agli schermi, dunque?
«No. Le nostre ricerche mostrano anche che i bambini preferiscono comunque giocare all'aperto, fare degli sport e incontrare gli amici piuttosto che guardare uno schermo».
Dunque?
«Dobbiamo distinguere tra impressioni generali e dati effettivi».
Quanta responsabilità hanno i genitori?
«Sono pochi quelli che effettivamente danno in mano cellulare e tablet liberamente ai loro bambini. In Svizzera i genitori tendono mediamente a regolare il tempo dedicato dai figli a cellulari e tablet, oltre che a verificare l'appropriatezza dei contenuti a cui accedono».
Una questione di misura?
«Se insegniamo ai bambini a gestire in modo consapevole questi dispositivi e controlliamo che i contenuti a cui sono esposti siano adatti alla loro età, non ritengo dobbiamo drammatizzare l'uso di cellulari e tablet».
Non c’è il rischio che il fenomeno travolga le nuove generazioni?
«Penso infatti che si debba investire di più, anche a livello di ricerca, per prenderne le misure. Ad esempio, non sappiamo davvero se il passaggio dalla lettura su carta a quella digitale sia dannoso per i bambini. Prima di regolamentare o descrivere nuovi percorsi dobbiamo esplorare determinate questioni in profondità».
I bambini di oggi sono in un certo senso i pionieri dell'era digitale.
«Si parla tanto di nativi digitali. È un termine che dovremmo abolire. Perché sapere usare gli strumenti tecnologici non significa essere educati al digitale o esserne consapevoli delle conseguenze dell'uso».
Dove sta il problema?
«Come sostiene la ricercatrice Sonia Livingston, i bambini sono come i canarini che i minatori usavano nelle miniere per capire lo stato dell'aria e gli eventuali pericoli. I canarini percepivano e subivano i cambiamenti dell'ambiente molto prima dei minatori».
Una metafora interessante. A che conclusioni ci porta?
«Così dovremmo immaginarci il rapporto tra bambini e tecnologie digitali: la sensibilità che hanno agli effetti, positivi e negativi, della diffusione e penetrazione degli strumenti come iPad, cellulare e simili è infinitamente superiore a quella degli adulti. Ciò significa che possono beneficiare dei vantaggi, ma anche subire gli effetti problematici delle tecnologie molto prima e molto più intensamente di noi».
Qualche consiglio per i genitori?
«È essenziale fornire una buona educazione mediale ai bambini, assicurandosi che l'uso di particolari dispositivi sia inserito all'interno di una dieta mediale ricca dove i bambini possano entrare in contatto con media diversi, dal libro al tablet, dal cellulare alla radio e alla TV. Inoltre è importante che siano offerte ai bambini anche delle alternative ai media, come ad esempio il gioco di relazione o lo sport».