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LUGANO«Non pensavo di finire in un simile casino»

01.10.19 - 06:03
Quindici anni di carcere. Qendrim Berisha è stato condannato definitivamente per l'omicidio di via Odescalchi. Lo abbiamo intervistato
foto tipress/Tio
«Non pensavo di finire in un simile casino»
Quindici anni di carcere. Qendrim Berisha è stato condannato definitivamente per l'omicidio di via Odescalchi. Lo abbiamo intervistato

LUGANO - Sono passati quattro anni. Sul volto di Qendrim Berisha è iniziato a spuntare qualche pelo grigio, e via Odescalchi è stata “ripulita” da spaccio e degrado. Ma la fama del Bronx ticinese durerà ancora a lungo. Come il soggiorno in carcere del giovane che, con due colpi di pistola, ne segnò il culmine e la fine. Ha accettato di raccontarsi a tio/20minuti, nella sua prima intervista dietro le sbarre. 

Berisha, il tuo nome è da tempo balzato alle cronache. Ma di te si sa poco
«Sono un ragazzo come tanti. Cresciuto in una famiglia per bene, che mi è vicina e mi dà forza. Il resto non c'è più. Gli amici, la fidanzata: ho perso tutto».   

Due settimane fa il Tribunale federale ti ha condannato a 15 anni di carcere per avere ucciso un 35enne portoghese, a ottobre 2015. E' la sentenza definitiva. Cosa significa per te?
«Un brutto colpo e una delusione. È la conferma che, fino all'ultimo, non si sono voluti tenere in considerazione alcuni elementi».

Quali?
«Anzitutto, il fatto che la vittima aveva sparato per prima. Ben quattro colpi di pistola»

Un regolamento di conti. Per una rissa scoppiata in discoteca. Secondo i giudici, recandoti in via Odescalchi assieme a cinque amici (tutti condannati, ndr) eri consapevole che poteva “scapparci il morto”
«In realtà, non sapevo nemmeno io cosa facevo. Mi sentivo senza scampo. Da giorni ricevevo minacce di morte, anche da parte del portoghese. Gli sms mostrano chiaramente l’intenzione di uccidermi. Tutto per uno screzio per un posto a sedere in discoteca, con gente con cui – ho scoperto poi – è meglio non scherzare»

Un gruppo di albanesi dediti allo spaccio. Perché, anziché sbrigarvela da soli, non avete chiamato la polizia?
«La security della discoteca afferma di averla chiamata. Ma non è intervenuta. Per questo mi ero convinto, in quei giorni, di essere senza protezioni. Contro una banda di criminali armati. Anche in discoteca erano venuti con le pistole»

Anche tu ti sei procurato una pistola
«Preferisco non entrare in dettagli. L'ho fatto, perché mi sentivo in pericolo»

Eri finito in un brutto giro?
«Come ho detto, ero e sono un ragazzo come tanti. Diplomato alla Commercio, facevo il contabile nella ditta di famiglia. Certo andavo in discoteca, ma mai avrei pensato di immischiarmi in simili casini»

Eppure è successo. Cosa hai imparato?
«Che bisogna stare attenti alle amicizie. Uscire la sera, sì, ma sapendo che c'è un Ticino meno sicuro di quanto si pensa. Dove succedono cose impensabili, e girano soggetti – spesso con base all'estero – senza scrupoli»

L'uomo che ha armato la vittima, un albanese, è ancora latitante
«Lui come il resto della banda. Sono spariti il giorno stesso. Io invece mi sono costituito. E quando uscirò di qui, vorrei che i ticinesi tra cui sono cresciuto, insegnanti, vicini di casa, sappiano che ho agito per legittima difesa»

Lo rifaresti, allora?
«Assolutamente no. Rimarrei chiuso in casa per settimane, mesi. E mi rivolgerei alle autorità. Insistendo, magari. Aspettando. Il rischio in casi estremi è di finire come la vittima, o come me. Non lo auguro a nessuno»

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