Ne è certa Nina Buffi, figlia di Giuseppe, indimenticato consigliere di Stato. La 34enne è a capo di un’azienda tedesca che si occupa di “cultured meat”: «Vi svelo il trend del momento»
BELLINZONA – Si chiama cultured meat. Letteralmente carne coltivata, o pulita. Praticamente carne “vera” (nulla a che fare con le bistecche vegane, per intenderci) prodotta in laboratorio. Tra i portabandiera di questa nuova tendenza, c’è la 34enne ticinese Nina Buffi, figlia di Giuseppe, indimenticato consigliere di Stato. Nina gestisce un’importante azienda a Berlino, la Ospin. «Siamo in 15. E sviluppiamo tecnologie proprio per il settore della cultured meat».
Ecco come funziona – Mentre, a livello mondiale, è scontro aperto tra i colossi della “carne veg”, qui si parla di carne vera e propria che viene prodotta in vitro, partendo da cellule staminali di muscolo dell’animale. Vengono poi nutrite, potenzialmente all’infinito, favorendo lo sviluppo del tessuto. «Ci sono diverse varianti di procedura – fa notare Nina Buffi –. Spesso il processo inizia con cellule staminali, perché hanno una grande capacità di moltiplicazione. In seguito, le staminali devono venire differenziate. Per diventare cellule di muscolo. Altri preferiscono usare cellule già differenziate in partenza, con lo svantaggio che si moltiplicano in maniera meno rapida».
Il primo hamburger “artificiale” – La ricerca si sta buttando a capofitto su questo nuovo filone dell’alimentazione. Il primo hamburger artificiale è stato svelato alla stampa nell’agosto del 2013. E se all’epoca, il tutto era avvolto da dubbi e interrogativi, oggi la carne coltivata in laboratorio sembra avere guadagnato una certa credibilità.
Un business da decine di milioni di euro – Insomma, non siamo di fronte a una meteora destinata a scomparire nel giro di pochi anni. Almeno secondo Nina Buffi. «Direi che questo è il futuro. Tanto che il noto gruppo svizzero Bell ha investito in una start up olandese, la Mosa Meat, che si occupa proprio di questo settore». Girano parecchi soldi attorno al business della cultured meat. «In diverse start up europee e statunitensi sono stati investiti decine di milioni di euro».
Consumatori ancora ignari – Un enorme affare che si sviluppa dietro le quinte della quotidianità. Il consumatore comune, infatti, almeno per ora, è poco informato sulla tematica. Anche perché, sia per una questione culturale, sia per ragioni di costi ancora troppo alti, è ancora relativamente lontano il momento in cui la carne coltivata potrà essere venduta nei supermercati.
Tutti i dubbi sulla carne tradizionale – «Il problema, tuttavia, sta a monte – sostiene Nina Buffi. La carne prodotta con i metodi tradizionali non è più sostenibile da un punto di vista ambientale. E pone un problema morale, gli animali spesso sono sfruttati in maniera poco etica».
Una possibile alternativa – Ecco quindi che nel corso dell’ultimo lustro sono spuntate qua e là, start up che hanno deciso di trovare un’alternativa. «La carne da laboratorio è identica a quella “vera”. Ma senza gli inconvenienti citati», precisa l’imprenditrice ticinese.
Dibattito aperto – A livello internazionale il dibattito è lanciato ormai da tempo. C’è chi sostiene che la carne coltivata sia eticamente più sostenibile. Ad esempio, perché non richiede l’uccisione dell’animale. Ma c’è anche chi non condivide l’idea che si possa mangiare qualcosa di non prodotto in maniera naturale. «Sono tutte questioni aperte – conclude Nina Buffi –. Alla Ospin contribuiamo a sviluppare il settore della cultured meat fornendo ai biologi e ai biotecnologi le tecnologie necessarie a produrre carne in laboratorio. Tutto questo in modo che il prezzo per i consumatori sia accettabile».