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«Che sofferenza pensare alla nostra gente in mezzo alle bombe»

LOCARNO«Che sofferenza pensare alla nostra gente in mezzo alle bombe»

31.07.19 - 09:00
Spiragli di pace in Afghanistan, dopo 18 anni di guerra: chi è fuggito dal Paese asiatico ci crede poco. Ecco la testimonianza dei giovani Ramazan ed Esmail. E il parere di un team di esperti
Key/Foto Tio/20Minuti
Da sinistra, Ramazan Rahimi e Esmail Mohammadi
Da sinistra, Ramazan Rahimi e Esmail Mohammadi
«Che sofferenza pensare alla nostra gente in mezzo alle bombe»
Spiragli di pace in Afghanistan, dopo 18 anni di guerra: chi è fuggito dal Paese asiatico ci crede poco. Ecco la testimonianza dei giovani Ramazan ed Esmail. E il parere di un team di esperti

LOCARNO – «La pace in Afghanistan? Ne parlavano già quando ero bimbo. Non ci credo più». Sensazioni di Esmail Mohammadi, 22 anni. Vive a Sementina ed è uno dei tanti afghani rifugiatisi in Svizzera per fuggire dalle bombe. Mike Pompeo, segretario di Stato americano, ipotizza un accordo di pace entro inizio settembre 2019. Ramazan Rahimi, che di anni ne ha 21 e abita a Magadino, è perplesso. E si sfoga in video: «Chi ha vissuto in Afghanistan, sa che la pace è qualcosa di davvero difficile da raggiungere». 

Una situazione che resta esplosiva – Eppure, dal Paese asiatico, dopo 18 anni di conflitti armati, si intravedono spiragli di luce. Tio/ 20 Minuti ha interpellato gli esperti della Middle East Mediterranean (MEM) Freethinking Platform dell’Università della Svizzera italiana, piattaforma accademica diretta da Gilles Kepel, politologo e tra i maggiori esperti europei del mondo arabo. «Gli afghani in Svizzera – spiegano gli specialisti – hanno ragione a essere scettici. I negoziati sono complessi. La situazione nel Paese è esplosiva, si susseguono attentati ad opera dei talebani e dello Stato Islamico del Khorasan». 

L’accordo che ancora non c’è – “Diminuire le vittime civili a zero”. È stato uno dei passaggi più importanti del documento redatto dopo la conferenza svoltasi a Doha di recente. Gli esperti spiegano: «Anche se si arrivasse presto a un accordo tra i talebani rappresentati a Doha dal mullah Abdul Ghani Barad e gli Stati Uniti rappresentati da Khalilzad, rimarrebbe da capire quali istituzioni politiche accetterebbero i talebani e quali diritti garantirebbero alla popolazione afghana frammentata in diverse tribù ed esausta dopo 18 anni di guerra». 

Famiglie lontane – Ramazan era sarto, frequentava il liceo nella sua terra. Ragazzo molto intelligente, sogna di diventare assistente di cura. La sua fuga dall’Afghanistan è stata un’Odissea. «Sono molto preoccupato. Io vivo in Svizzera e la mia famiglia è lontana, a Kabul, in mezzo alle bombe e agli attacchi terroristici». La famiglia di Esmail invece è in Iran. «I miei genitori hanno lasciato l’Afghanistan quando io ero piccolo. Mi hanno salvato». Anche Esmail vuole lavorare nel ramo sanitario. Si vuole rendere utile. «Certo, il mio sogno è che la pace un giorno arrivi. Ma sembra una cosa impossibile».

Troppi interessi in gioco – La situazione, già di base caotica, è diventata ancora più complessa dopo l’arrivo dei miliziani dell’Isis in fuga dal Iraq e dalla Siria che si scontrano con i talebani. «È difficile – confermano gli specialisti della MEM Freethinking Platform – arrivare alla pace perché le parti in causa non sono disposte a fare le necessarie concessioni». 

Cosa deve succedere affinché si verifichi il “miracolo” – I talebani dovrebbero garantire il “cessate il fuoco” e non cedere basi a entità terroriste. Gli Stati Uniti dovrebbero, dal canto loro, lasciare l’Afghanistan insieme alle altre forze Nato. «Dovrebbero lasciare libero il campo tutte le entità politiche appoggiate dai governi occidentali». Tutto tranne che evidente. «Le tensioni fra Iran e USA rendono ancora più complicato il raggiungimento di un accordo». 

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