Cerca e trova immobili

LUGANO / AMBRÌGiocatori che rischiano, pur di lavorare

05.02.19 - 08:45
Le commozioni cerebrali sono un problema sommerso nello sport, anche in Ticino. Ma i medici sono sempre più attenti
tipress
Julien Vauclair infortunato nel 2016
Julien Vauclair infortunato nel 2016
Giocatori che rischiano, pur di lavorare
Le commozioni cerebrali sono un problema sommerso nello sport, anche in Ticino. Ma i medici sono sempre più attenti

LUGANO/AMBRÌ - Julien Vauclair ricorda ancora la volta che non riconobbe i suoi figli. «Mi sono svegliato nello spogliatoio e me li hanno portati davanti: non sapevo dire i loro nomi – racconta –. È stato orribile». Il campione dell'Hcl a 40 anni non ricorda invece quante commozioni cerebrali ha accumulato, nella carriera. «Forse 7 o 8. Comunque più di cinque».

Stipendi più bassi - Non è un record da sbandierare: secondo un recente studio canadese, i giocatori di hockey a cui è toccata la stessa esperienza tendono a ottenere ingaggi meno ricchi rispetto ai colleghi, e a lasciare prima il ghiaccio. I casi più gravi sfociano in una sindrome cronica (Cte), finita sotto i riflettori negli Stati Uniti dopo i suicidi di diversi giocatori di football. 

Casi in aumento - E in Ticino? Il problema è noto in ambito hockeystico, anche se «i giocatori spesso tendono a sminuire i sintomi per non danneggiare la carriera» spiega il medico dell'Hcl Marco Marano. Il club luganese ha un registro aggiornato degli incidenti: negli ultimi tre anni i casi sono aumentati da sei a otto, a dodici nella stagione 2017-18.

Addii definitivi - Anche ad Ambrì «gli episodi variano tra 7 e 10 all'anno» calcola il dottor Daniele Mona. «L'incidenza è in linea con la media svizzera» precisa. Le assenze dalle piste «variano in base alla gravità da un minimo di cinque giorni a diversi mesi» e non mancano gli addii definitivi: dagli anni '90 a oggi quattro giocatori dell'Hcap si sono ritirati per sempre dal ghiaccio per danni cerebrali. 

Meglio rischiare? - Il guaio è che la diagnosi non è semplice, concordano gli esperti. «È dimostrato che con l'accumularsi degli infortuni aumenta il rischio per l'atleta. Dopo il terzo episodio grave, bisognerebbe smettere» osserva Marano. Ma la decisione finale spetta al giocatore. E la prospettiva di ritrovarsi senza lavoro scoraggia molti. 

«Serve più sensibilizzazione» - Per questo secondo il dottor Patrick Siragusa del Centro medico dello sport di Tenero, «occorre una maggiore sensibilizzazione alle squadre, agli arbitri e ai medici» e la sfida «non riguarda solo l'hockey, dove si sono già fatti passi avanti, ma anche tutti gli sport a rischio come per esempio il calcio». In prima linea nella partita ci sono gli atleti, come Vauclair: continuando a giocare sa di correre un rischio, e non pensa a dare l'esempio. «Lo sport è la mia vita, non posso smettere – si scusa quasi il giurassiano – Cerco di non pensarci».  

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE