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MILANO-LUGANOIl super-attico che ha messo nei guai Pkb

09.11.18 - 08:15
Nuovi dettagli sulle accuse di frode nei confronti della banca luganese. Sono 18 gli indagati, alcuni residenti in Ticino
foto tio.ch/20min
Il palazzo di viale Majno, a Milano.
Il palazzo di viale Majno, a Milano.
Il super-attico che ha messo nei guai Pkb
Nuovi dettagli sulle accuse di frode nei confronti della banca luganese. Sono 18 gli indagati, alcuni residenti in Ticino

MILANO/LUGANO - I custodi non aprono il cancello in rame scolpito, con la maniglia dorata. Al citofono rispondono di non avere «mai sentito nominare» la Pkb. Ma i guai della banca luganese sono iniziati proprio qui: un palazzo lussuoso di Porta Venezia a Milano, in uno dei super-attici da cui si vedono le Alpi da lontano.

I primi indizi - Era il 2011. Un cliente dell'istituto ticinese acquista l'appartamento (totale 3 milioni) pagando in nero parte del prezzo. I soldi – 900mila euro – passano da un conto all'altro a Lugano, all'insaputa del fisco italiano. Nel 2015 arriva la voluntary disclosure: bisticciano acquirente ed ex proprietario, partono querele. E la Procura italiana inizia a interessarsi alla discreta banca di via Balestra. 

«Nessun procedimento» in Ticino - I magistrati milanesi hanno annunciato mercoledì l'apertura di un'indagine. A Berna invece «non sono aperti procedimenti al momento» fa sapere il Ministero pubblico della confederazione: ma una rogatoria potrebbe arrivare in futuro. Diciotto persone sono finite sotto inchiesta, intanto, con l'accusa di frode fiscale e riciclaggio. Due di loro sarebbero degli intermediari esterni alla banca.

Incontri informali - Gli altri 16 indagati sono invece manager della Pkb. Hanno ufficio, centro d'interessi e – alcuni – residenza in Ticino. Ma si recavano «abitualmente» in Italia per raggiungere i clienti: al bar, al ristorante, a casa. Una «rete occulta» per trasferire soldi in nero da Milano al Ceresio, secondo gli inquirenti.  

«Una procedura aziendale» - Tanti soldi. Per ora 409 milioni sono emersi con le auto-denunce di 198 clienti, ma sono «solo una parte» secondo il procuratore milanese Elio Ramondini. «A questi vanno aggiunti i capitali dei correntisti che non hanno aderito alla voluntary disclosure. E stiamo valutando anche la posizione di altre banche, più grandi» avverte. Quello della Pkb non sarebbe un “modello” – precisa – ma «certamente una procedura aziendale consolidata, e molto rigorosa». I vertici ne erano al corrente? Lo diranno gli interrogatori. 

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