Chi dice No. Il presidente dei cacciatori Fabio Regazzi impallina il progetto di Parco nazionale del Locanese: «Per noi sacrificio ingiustificato».
GORDOLA - Il colpo in canna pronti impallinare il progetto di Parco nazionale. Nonostante qualche defezione lo scetticismo dei seguaci di Diana verso il progetto è netto. E il consigliere nazionale Fabio Regazzi, presidente della Federazione dei cacciatori ticinesi, lo ha ribadito a chiare lettere evidenziandone i difetti.
Meno di un terzo della superficie del Parco sarà protetta dalle doppiette. Non è un sacrificio sopportabile?
«Contro il Parc Adula, perché è da 18 anni che si parla di questi parchi in Ticino, non avevamo fatto opposizione. Ma qui è diverso, perché verrebbero imposte limitazioni che riteniamo ingiustificate. Da sempre siamo contrari a sacrificare delle zone di caccia. Ci sono già molte superfici nel cantone, dove per motivi vari e anche condivisibili, non si può cacciare per cui non ce ne sono bisogno altre».
Intende dire che le bandite bastano e avanzano?
«A dire il vero il concetto delle bandite in Ticino è stato da poco rivisto e la tendenza è stata quella di ridimensionarle, farle più piccole per evitare effetti controproducenti e segnatamente il proliferare di animali problematici come cervi e cinghiali. In questo progetto si va invece in controtendenza».
Prendiamo il camoscio, specie che vive un momento delicato, il Parco non potrebbe diventare un “vivaio”?
«Le zone di bandita sono già previste e sufficienti. Dopodiché se prendiamo quella del Monte Generoso, vediamo che i camosci che vivono lì protetti presentano problemi pur senza cacciatori».
Si dice che il parco è un lusso del piano imposto alla gente di montagna?
«Condivido questa interpretazione. Il problema è questo modello di Parco. Perché se avessero puntato su Parco regionale, il consenso sarebbe stato allargato e il parco già operativo».
Perché dice che è un modello sbagliato?
«Perché parte da una visione di protezione della natura, ovvero quella di lasciarla crescere in modo selvaggio e incontrollato, che è anacronistica e a mio avviso sbagliata. E qualcosa che piace molto a Pro Natura, che non a caso è uno sponsor del progetto con 1 milione di franchi, la quale però ha una visione ideologica di gestione dell’ambiente. Questo modello - pensato per i cittadini che credono di andare a trovare la natura incontaminata - è fatto per spopolare piuttosto che rilanciare le valli».
I promotori del Parco parlano di ricadute per 200 milioni di franchi e 200 posti di lavori (diretti e indiretti) creati. Non è un lusso rinunciarvi?
«Sono cifre che non mi convincono assolutamente. Neanche Berlusconi nei tempi d’oro si sarebbe spinto a promesse così mirabolanti. Che porti un indotto non lo contesto, ma sulla quantificazione la pillola è stata molto indorata per far credere che questa sarà la panacea che risolverà tutti i problemi».
Ma per una valle povera rinunciare anche a un indotto minimo non è sbagliato?
«Se vogliamo parlare di rilancio delle zone periferiche allora si deve sapere che si sono altri modelli possibili. Conosco bene la realtà della Verzasca, che è una valle che non se la passa benissimo, ma lì le associazioni hanno preparato un masteplan con tutta una serie di attività di rilancio e progetti concreti. Non c’è bisogno di un modello che invece comporta restrizioni e vincoli per i residenti e che rappresenta di fatto una sorta di esproprio del nostro territorio».