Ecco come è stato ridotto il tasso di assenteismo per malattia tra le guardie carcerarie. «La pressione c’è, ma l’ambiente di lavoro è buono» spiega il direttore Stefano Laffranchini
LUGANO - Nessun allarme assenteismo nell’amministrazione pubblica, dice la radiografia del Consiglio di Stato. Ma emergono settori più confrontati con malattie e infortuni. Sollecitati da Tio/20minuti i responsabili dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale e dell’Area manutenzione (stradale) non hanno risposto, mentre il direttore delle Strutture carcerarie commenta il numero d’assenze tra chi lavora tra Stampa e Farera. Con la notizia che negli ultimi tre anni il dato è in calo. Lontani sembrano i malumori di un tempo tra il personale…
Si è voltato pagina - Quella di agente di custodia è una delle professioni più difficili e di conseguenza la pressione su di essi è molto alta. Da qui, anche, l’elevata percentuale dei dipendenti “in fuga” per malattia o infortunio registrata in passato. Che sia un mestiere difficile lo riconosce lo stesso direttore delle Strutture carcerarie, Stefano Laffranchini: «Da un lato l’agente deve mostrare la vicinanza necessaria, che io esigo, da persone che hanno a che fare con esseri umani, dall’altro deve mantenere la distanza necessaria per poter imporre gli ordini della direzione». La difficoltà sta tutta in questa ricerca dell’equilibrio, nel riuscire ad avvicinarsi abbastanza al detenuto per poter essere di sostegno e al tempo stesso mantenere il rigore richiesto: «È un’arte molto difficile e raffinata ma che va posseduta» dice Laffranchini.
La pressione dell’errore - Ma le guardie devono saper gestire anche un altro aspetto. «Qualsiasi errore in cui incorre l’agente di custodia può avere delle conseguenze. Anche penali per lo stesso agente se, poniamo, nel controllo delle merce d’entrata sfuggisse un’arma o una sostanza che non deve entrare in carcere. C’è dunque una pressione non indifferente». Premessi questi fattori che possono indurre un certo bisogno di assenteismo per, diciamo, ricaricare le batterie… ecco come si è riusciti ad invertire la tendenza.
Azzerate le micro-assenze - «Lo studio non lo dice ma l’inversione è stata incredibile per quanto concerne le micro-assenze». Quelle assenze cioè di uno-due giorni, che sfuggono all’obbligo del certificato medico. «Queste micro-assenze costituite dalle malattie molto sospette, le più correlate ad un disagio sul mondo del lavoro, sono state in pratica azzerate».
La ricetta della direzione - E a questo punto Laffranchini spiega la sua ricetta: «Ho sempre inteso il mio ruolo come quello di mettere chi lavora al fronte nelle condizioni migliori di fare nel miglior modo possibile il proprio lavoro. Abbiamo adottato così tanti piccoli accorgimenti per creare queste premesse affinché i collaboratori possano lavorare in un buon ambiente». Inoltre, si è deciso di puntare molto su fiducia e dialogo, «che vengono creati soprattutto attraverso i quadri sulla cui formazione abbiamo investito moltissimo». In aggiunta, dietro questa diminuzione delle assenze dal lavoro, ci sarebbe anche la prossimità maggiore con la direzione: «Almeno una volta alla settimana effettuiamo un giro delle strutture per parlare con detenuti e collaboratori. Basta un come va?».
Più risorse, meno assenze - Infine, il direttore cita «la maggior sensibilità politica che in questi ultimi anni ha portato ad adeguare il personale per meglio distribuire il carico di lavoro». Quindi più risorse, anche dal profilo logistico con attrezzature che facilitano il lavoro. Ma lo sforzo è simmetrico e arriva anche dagli stessi dipendenti: «C’è un grande senso di responsabilità. Talvolta io stesso, o i quadri siamo costretti a mandare a casa chi viene al lavoro anche se ammalato…». Insomma, viene quasi voglia di andare in carcere. Per lavoro, s’intende.