Il capolavoro di Plinio Martini spiegato e rilanciato da Matteo Ferrari e Mattia Pini, giovane dottore in letteratura. L’esperto Guido Pedrojetta: «Alle medie e nei licei si dovrebbe fare di più»
BELLINZONA – «A chi ce l’ha coi migranti forse farebbe bene leggere questo libro. Per non dimenticare che anche noi ticinesi, un tempo, eravamo migranti». Il testo è quello de “Il fondo del sacco” di Plinio Martini. A rispolverarlo è Matteo Ferrari insieme a Mattia Pini, giovane dottore in letteratura che ne pubblica (tramite Casagrande) una versione rinnovata e commentata. «Perché è giusto che le giovani generazioni conoscano questo testo – spiega – il libro parla delle nostre radici, della nostra identità. E anche di temi attuali come quello dello spopolamento delle valli, o appunto della migrazione».
Espressioni colorite – Una donna corta? È una donna sciocca. Essere compagni? Significa essere simili, quasi identici. Dialettismi ed espressioni che trapelano da “Il fondo del sacco”. Un’ampia introduzione, un migliaio di note approfondite, la biografia dello stesso Martini, mappe geografiche unite a riflessioni sulle tradizioni di un tempo che non c’è più.
Decide il docente – L’operazione è senza dubbio di grande utilità pubblica. Purtroppo non sembra essere accompagnata dalla sufficiente sensibilità da parte dell’istituzione scolastica. Perché lo studio degli autori locali nella scuola ticinese resta un tabù. «Più che altro – spiega Guido Pedrojetta, esperto di italiano alla Scuola cantonale di commercio e titolare di una cattedra a Friburgo – dipende ancora tanto dalla sensibilità del docente».
Rifiuto graduale – Perché i vari Chiesa, Zoppi, Filippini non si studiano più a scuola? Pedrojetta abbozza una spiegazione. «Fino al ’68 la letteratura ticinese rappresentava un’imposizione a scuola. Poi c’è stato un rifiuto, graduale ma marcato. Oggi i programmi scolastici fanno solo qualche allusione in merito. Non c’è alcun obbligo, come da una parte è giusto che sia. Bisogna anche dire che i temi sollevati dagli scrittori ticinesi sono spesso lagnosi, legati alla povertà, alle difficoltà di vivere, alla morte. Difficile coinvolgere i giovani su simili argomenti».
Un bacino ridotto – Ma c’è anche un altro aspetto che l’esperto evidenzia. «Stiamo parlando di letteratura della lingua italiana. Il Ticino è un territorio di 380'000 abitanti. In proporzione è normale avere meno autori di prestigio rispetto al bacino italiano. Questo però non significa trascurare completamente gli autori locali. Alle medie e nei licei ticinesi si dovrebbe fare qualcosina di più. I testi dei programmi liceali risalgono a vent'anni fa. Forse, in occasione di una loro ristesura, potrebbe esserci maggiore attenzione per questo ambito».
Esami di maturità – A fare ben sperare è una tendenza in atto da alcuni anni. «Noto che ci sono sempre più giovani che portano le opere degli autori ticinesi all’esame di maturità. Ad esempio “L’anno della valanga” di Orelli, o lo stesso “Il fondo del sacco”. Significa che da parte di alcuni c’è una buona ricettività».
Riti e tradizioni – Anche perché la letteratura locale aiuta a capire chi siamo e da dove veniamo. Pini lo sa bene. «Ne “Il fondo del sacco” si fa riferimento a decine di riti e di tradizioni del nostro passato. Non solo. Il protagonista vive lungo un doppio spartiacque. Quello dello spazio, visto che la vicenda è a cavallo tra il Ticino e la California. E quello cronologico, dal momento che c’è uno spazio temporale di trent'anni dal momento della sua partenza a quello del suo ritorno in patria. E qui subentra il tema del cambiamento, dell’evoluzione. È un testo più attuale che mai».