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LUGANOIn 10 contro 1000, a gridare “Vaffa…”. Come è possibile?

08.08.17 - 07:08
L’episodio che ha portato al ferimento di un ultras a Cornaredo riapre il dibattito sull’eccessivo potere delle tifoserie nello sport. Ne parliamo con lo psicologo Mattia Piffaretti.
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In 10 contro 1000, a gridare “Vaffa…”. Come è possibile?
L’episodio che ha portato al ferimento di un ultras a Cornaredo riapre il dibattito sull’eccessivo potere delle tifoserie nello sport. Ne parliamo con lo psicologo Mattia Piffaretti.

LUGANO – Erano in dieci contro mille. Eppure, volevano urlare agli avversari, già notoriamente focosi, “Zurigo, Zurigo, Vaffanculo”. Un’idea senza alcun senso razionale, quella avuta sabato sera all’esterno dello stadio di Cornaredo, da parte di un gruppetto di tifosi del Lugano. Tra questi, anche il 46enne (!) finito all’ospedale per essere stato colpito vicino all’occhio da un proiettile di gomma sparato dalla polizia. E, alla fine, la colpa di chi è? Della polizia che avrebbe dovuto mirare al corpo degli esagitati? Ma perché persone rispettabilissime, che conducono una vita apparentemente normale, quando entrano in uno stadio diventano incapaci di intravedere il pericolo generato dalle loro stesse azioni? Ne parliamo con Mattia Piffaretti, Dottore in psicologia e psicologo dello sport, attivo a Losanna e in Ticino.

Professore, partiamo proprio da quest’ultimo quesito. Di casi come quello di sabato a Cornaredo si sente parlare tutte le settimane. Cosa accade nella testa di queste persone? 

A volte si tratta di persone con un’esistenza magari sin troppo normale e perfetta. Allo stesso tempo accumulano tensioni e frustrazioni nella vita privata. Non è di certo in ufficio che si possono sfogare determinate emozioni. Lo stadio, invece, “tollera” simili atteggiamenti.

È un po’ come se allo stadio emergesse la vera anima di alcuni personaggi?
Sì. In più c’è l’effetto del gruppo. Quando si è in massa ci si sente legittimati a comportarsi in un certo modo. Il calcio è uno sport di contatto, suscita già di per sé sensazioni forti che, ad esempio, sport come il beach volley non suscitano. Le società dovrebbero lavorare ancora di più sul contesto, fare in modo che lo stadio sia un posto piacevole, che non trasmetta tensioni.

Qualche anno fa a Sion veniva offerta la raclette a tutti gli spettatori ospiti. L’iniziativa è naufragata a causa della reazione di alcune tifoserie. Gli ultras nel calcio hanno troppo potere. Perché?

In alcuni casi, e penso ad esempio all’Italia, le società hanno paura di intervenire. Anche perché sentono di dipendere a livello economico da questi tifosi. Bisognerebbe fare più educazione tra le tifoserie, responsabilizzare maggiormente chi va allo stadio. Arrivando ad avere il coraggio di escludere chi crea problemi.

Chi sbaglia, insomma, non deve più mettere piede in uno stadio. Giusto così?

Ci vuole la volontà politica per ricorrere a certe misure. In Inghilterra l’hanno fatto e la situazione è migliorata. I club dovrebbero chiedersi che tipo di persone vogliono allo stadio. Al momento molti stadi non rappresentano più un ambiente sano. Non si può continuare a lasciare assoluta libertà a questo genere di tifosi. Inutile prendersela con gli agenti di polizia. Fanno il loro lavoro, e quando subentrano è già tardi.

A volte gli ultras diventano ancora più aggressivi a causa dell’alcol. È ancora giustificato vendere alcolici in uno stadio, visto che alcuni non sanno gestirsi e non si rendono conto di mettere in pericolo il prossimo?

Dal profilo psicologico, l’alcool è un disinibitore, spesso ricercato per lasciarsi andare. Se lo rendiamo facilmente accessibile a dei tifosi con un tasso di frustrazione interna elevata, è come gettare benzina sul fuoco.

 

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