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CANTONEAdrien Brody al Pardo: «L’arte supera tutte le barriere» (anche quelle di Trump)

05.08.17 - 14:23
Il premio Oscar americano era oggi ospite del Festival del Cinema, per lui una folla da grandi occasioni: «Dopo “Il pianista” sono stato depresso per un anno»
Keystone
Adrien Brody al Pardo: «L’arte supera tutte le barriere» (anche quelle di Trump)
Il premio Oscar americano era oggi ospite del Festival del Cinema, per lui una folla da grandi occasioni: «Dopo “Il pianista” sono stato depresso per un anno»

LOCARNO  - C’era una bel capannello ad accogliere il premio Oscar Adrien Brody oggi in quel del Festival del Cinema di Locarno. Non è un caso, anche perché l’attore americano è con ogni probabilità la celebrità più hollywoodiana di quelle presenti alla 70esima edizione del Pardo. Insomma, se quest’anno c’è un Vip (con la “V” maiuscola), è senz’altro lui.

Classe 1973, Brody, è una di quelle facce del grande schermo che una volta viste difficilmente si scordano. Nel suo curriculum, oltre al già citato premio Academy (a soli 29 anni) come miglior attore protagonista per “Il Pianista” di Roman Polanski, anche collaborazioni con pesi massimi come Spike Lee (“Summer of Sam - Panico a New York”), Terrence Malick (“La sottile linea rossa”), Peter Jackson (“King Kong”), Wes Anderson (diversi film tra i quali anche il cult “Gran Budapest Hotel”) e Woody Allen (“Midnight in Paris“).

Abbronzato - insolitamente ci verrebbe da dire - ha raccolto l’applauso dei presenti all’incontro con il pubblico allo Spazio Cinema del festival, con un sorriso sornione in perfetto “stile Brody” e un bel po’ umorismo.

Una carriera, per generi e ruoli, estremamente variegata la sua: «Li scelgo il più possibile diversi da me», conferma l’attore, «mi piace cercare personaggi che mi permettano di capire qualcosa di nuovo, sugli altri ma anche su me stesso. A volte a guidarmi sono anche i grandi temi e i grandi problemi della nostra società, in questo modo la sfida acquisisce un significato ulteriore».

Per quanto riguarda “Il pianista”, invece, la lavorazione è stata impegnativa, tribolata e drammatica tanto quanto il film: «Per me è stata allo stesso tempo un’opportunità unica e la più grande responsabilità che mi sia mai preso. Era qualcosa che andava al di là del film. Dovevo fare onore alla memoria di una persona (il superstite dell’olocausto Wladiyslav Szpilman, ndr.), alla sua storia e anche ai sentimenti e alla vita di Roman (Polanski). Avevo solo 27 anni a quel tempo, non avevo idea di quello che quel film mi avrebbe dato. Per il mio lavoro di recitazione mi ha senz’altro aiutato la fame, ho dovuto perdere molto peso e così ho abbracciato un regime da fame, questo mi ha connesso con il personaggio ma mi ha anche segnato. Dopo quel film per un anno ho dovuto affrontare la depressione».

Decisamente diverse le collaborazioni con Wes Anderson: «Un genio della narrazione, basta guardare un immagine dei suoi film per riconoscere la sua mano! Una delle cose più mi piacciono di più di lui è che è l’unico che mi lascia essere divertente (ride). La gente mi vede sempre come un grande artista drammatico, per me è stata una vera liberazione. Mi sono divertito molto anche a fare uno dei suoi cattivi in “Grand Budapest Hotel” sono personaggi davvero grotteschi e anche lì c’è tantissimo spazio per divertirsi e divertire».

Gli schermi verdi e i dispositivi hi-tech del blockbuster “King Kong” di Peter Jackson sono ancora un’altra cosa: «È un mezzo potentissimo, pensate che nell’arco dei nove mesi di lavorazione la tecnologia era già cambiata completamente (ride). Non è semplice recitare su schermo verde e con qualcosa che non esiste, è molto impegnativo dare il massimo quando sei appeso a una corda sullo schermo verde e ti dicono di nuotare e tu… non l’hai mai fatto! In ogni caso riguardarsi a lavoro fino dopo aver girato un film così è davvero bello, è senz’altro la pellicola ideale da far vedere ai miei nipotini futuri e fargli vedere quanto era fico il nonno da giovane, è vero che probabilmente per loro sarà come vedere un film in bianco e nero e magari mi diranno: “Nonno, ma quel dinosauro è fatto malissimo” (ride)».

E a serie televisive o film di supereroi (che oggi imperversano a Hollywood) ci ha mai pensato? «Senz’altro, ci vorrebbe il progetto giusto e il personaggio giusto. Basta guardare il grande lavoro fatto da Robert Downey Jr. con “Iron Man” o Bryan Cranston in “Breaking Bad”, è qualcosa che mi piace molto. Fino a oggi ho ricevuto diverse proposte ma per ora non si è fatto ancora niente».

C’è anche tempo per una breve parentesi politica, quando dal pubblico gli si chiede di commentare l’attuale governo Trump: «Non sono qui come politico, sono un attore e un artista. Parlerò piuttosto da questo punto di vista: senz’altro siamo preoccupati da diverse decisioni dell’attuale amministrazione. Siamo soprattutto scioccati dai tagli sostanziali ai fondi per la cultura. Oltre a essere una tragedia per chi lavora in questo settore è un messaggio orribile. Fondamentalmente si dice: l’arte non conta nulla. Ma non è così: l’arte ci collega tutti, va oltre le barriere (e i muri) dà una voce a chi non ce l’ha. Bisognerebbe investire piuttosto, insegnare ai ragazzi a scuola ad esprimersi, guidarli a creare. Sarebbe davvero bellissimo».

E per il futuro? «Adesso sono concentrato sulla pittura, ma è una cosa che non penso di poter evitare sarà quella, un giorno, di fare il regista. Ho imparato così tanto in questi anni da tutti quelli con cui ho lavorato! Penso anche che sarei molto bravo a dirigere gli attori e aiutarli a dare il meglio di sé, ho una discreta esperienza in questo. Miss che ci vorrà ancora un po’ però, qualche anno di sicuro. Ho così tante cose da fare adesso e sono molto, molto indisciplinato (ride)».

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