Cosa significa essere “nani” nel 2017? Storia di Leonardo Dräyer, 21 anni, un piccolo grande uomo: «Alle medie mi sfottevano e mi picchiavano. Oggi ho le spalle larghe»
CAPRIASCA – Scala le montagne, gioca a hockey. Un giorno guiderà anche l’auto. Leonardo Dräyer, 21enne di Capriasca, ha una vita assolutamente normale. Se non fosse per quel problema che lo accompagna dalla nascita. È “nano”. La sua altezza? Circa 140 centimetri. Il suo è stato uno dei primi casi in Europa di 3-M syndrome, disturbo dello sviluppo che frena la crescita della persona. Leonardo non è un diverso, anche se il mondo lo reputa tale. Proprio la “diversità” è il tema dell’esposizione “Tu!” in corso alla Villa Saroli di Lugano. Ma come vive, nel 2017, un presunto “diverso”? Quali sono le difficoltà quotidiane con cui è confrontato? Leonardo si racconta.
Leonardo, a prima vista sembri una persona simpatica. Quanta di questa simpatia è dovuta alla tua altezza?
«Sono di base una persona che scherza e porta buonumore nel gruppo. Però è vero che incuriosisco, attiro la gente. In un certo senso la mia statura suscita allegria».
Immagino ci sia anche il rovescio della medaglia. Sbaglio?
«Le situazioni più tristi le vivo quando incontro bambini che non mi tolgono lo sguardo di dosso. Mi fissano e sussurrano alle loro mamme: “Ma cosa ha quello?” E magari poi se la ridono. Accade tutti i santi giorni. E non è facile farsi scivolare addosso certe cose».
Hai mai provato rabbia per la tua situazione?
«Sì. Soprattutto nel periodo della scuola media. Alcuni compagni di classe mi prendevano in giro, mi sfottevano. Sono stato anche picchiato. Ero il più piccolo e il più debole. La mia statura rappresentava il pretesto per iniziare a farmi del male».
Eppure oggi sorridi. Cosa è cambiato nel frattempo?
«Penso di avere maturato una certa consapevolezza. E poi ho avuto la fortuna di incontrare anche persone buone lungo il mio cammino. Oggi ho degli amici unici».
Come passi le tue giornate?
«Ho appena finito gli studi come impiegato di commercio. Adesso mi piacerebbe fare un anno in giro per il mondo, vorrei approfondire il francese e l’inglese, magari in Canada».
Non hai paura a girare il mondo da solo?
«No, perché dovrei? L’ho detto, col tempo sono cambiato. Mi sono fatto le ossa. Ho le spalle più larghe oggi».
Parliamo dei tuoi hobby. Le immagini di Facebook ti dipingono come un giovane molto attivo. Confermi?
«Sì. Gioco a tennis, a calcio, a golf… Come qualsiasi altro ragazzo della mia età. Vorrei fare la patente di guida. Mi sto informando. So che in Svizzera interna c’è la possibilità di adattare le auto a chi ha il mio problema».
Come è stato accolto in famiglia il tuo handicap?
«Bene. I miei genitori, già di per sé, non sono molto alti. La genetica comunque non c’entra. È capitato a me e basta. Lo accetto».
Quanto ti dà fastidio sentirti diverso?
«Non mi dà fastidio. Ha anche i suoi vantaggi. Ad esempio spendo molto meno in vestiti rispetto a una persona con altezza normale…»
Come va con le relazioni sentimentali?
«Le ragazze si avvicinano a me, mi parlano. Ma tutto finisce lì. Diciamo che non ho avuto una grande fortuna finora. Sono anche una persona timida. Chissà, magari grazie al vostro articolo…»
Ecco. Parliamone. Sui media la diversità è spesso spettacolarizzata. Come valuti questo fenomeno?
«Non negativamente. Io trovo sia interessante dare la possibilità di raccontare la propria vita a persone con una difficoltà. In fondo è anche un modo per spiegare come portiamo avanti la nostra esistenza, quali sono gli ostacoli che ogni giorno incontriamo sulla nostra strada».