La storia di Giulia C., giovane con la sindrome di Sharp che si cura in Serbia, aveva suscitato lo scetticismo del presidente dell’ordine dei medici
LUGANO - «Caro dottor Franco Denti, presto sarò da Lei col mio dossier. E le dimostrerò che la mia non è una storia gonfiata. Anzi…» È la reazione di Giulia C., la 30enne luganese che aveva raccontato a Ticinonline il suo calvario con la sindrome di Sharp, di fronte allo scetticismo del presidente dell’ordine dei medici ticinesi. Denti, da noi contattato, aveva espresso più di un dubbio sulla vicenda vissuta da Giulia, che per tanti anni non era riuscita ad avere una diagnosi in Svizzera per poi riceverla, casualmente in Serbia. «Io – fa sapere Giulia – sono intenzionata ad andare fino in fondo. Non mi va di passare per matta. Denti lo voglio incontrare».
Il libro della discordia - Una storia, quella di Giulia, che ricorda quella di Paola Zuppiger, autrice del libro “Fallimento terapeutico” in cui racconta la morte del marito dovuta a presunte inadempienze mediche. Anche in quel caso, alcuni dottori ci scrissero mettendo in dubbio la veridicità di alcuni passaggi raccontati dall’autrice. La stessa cosa era accaduta in passato, ogni volta che è stato trattata la tematica del presunto cattivo operato sanitario. Intanto, una recente statistica dimostra che ogni anno 70.000 pazienti sviluppano un’infezione negli ospedali svizzeri. Centinaia di morti.
Onnipotenza - Perché molti medici, di fronte a simili situazioni, hanno la tendenza a chiudersi a riccio? «Effettivamente – sostiene Matteo Cheda, membro ticinese del comitato dell'Organizzazione svizzera dei pazienti – sarebbe più costruttivo ammettere i propri sbagli. Perché sbagliare è umano. E negando gli errori si perde credibilità. È accaduto anche nel caso del dottor Piercarlo Rey, al Sant’Anna di Sorengo. Il medico è una persona che salva le vite. In alcuni casi questo può portare a sentirsi un po’ onnipotenti».
Problemi con la giustizia - «Il fatto – aggiunge Dieter Conen, medico e presidente della Fondazione svizzera per la sicurezza dei pazienti – è che un dottore non può dire facilmente “Ho sbagliato”. Perché sa che potrebbe poi avere problemi con la giustizia. Psicologicamente non è facile. Magari dunque ci si limita a dire “Mi dispiace che sia andata così”. Per fortuna a livello universitario ci si è accorti di questo problema. A Zurigo, da qualche tempo, si fa una formazione ad hoc sull’importanza di ammettere gli errori da parte dei medici».
Troppi morti - Stando alle cifre del 2010, negli ospedali svizzeri morirebbero ogni anno tra i 500 e i 2000 pazienti a causa di errori medici. «Sono cifre ancora attuali – tuona Conen –. E le ritengo inaccettabili. Ogni singolo morto è un morto di troppo. Va anche detto che in questo periodo storico c’è grande pressione sul ruolo degli operatori sanitari».
Il problema ticinese - Nella Svizzera italiana i morti causati da errori o valutazioni errate sarebbero tra i 28 e i 68 all’anno. «In Ticino – riprende Cheda – ancora oggi ci sono troppi morti, rispetto ad altre regioni della Svizzera. E in molti casi non si riescono a individuare le malattie rare. Il problema ticinese è che gli ospedali sono troppo piccoli. Bisognerebbe spostare il Civico a Giubiasco-Camorino e chiudere il San Giovanni di Bellinzona e La Carità di Locarno. Un ospedale Civico più grande attirerebbe medici più qualificati. E soprattutto farebbe aumentare il bacino dei pazienti di una determinata casistica. Sarebbe, insomma, più semplice riconoscere le malattie poco diffuse».