Oltre il 30% degli allievi è bocciato al primo anno. E il Cantone ora stringe le viti. Emanuele Berger, direttore della Divisione della Scuola: «È alle medie che bisogna fare di più»
BELLINZONA - Una scuola ticinese sempre più competitiva e soffocante? Dal prossimo settembre nei primi tre anni di liceo sarà possibile bocciare una sola volta. La decisione, voluta dal Dipartimento dell'educazione, si basa su dati concreti. Nel 1997 i bocciati al primo anno erano il 20%. Ora superano il 30%. Un'ecatombe, insomma. Che dimostra, ancora una volta, come il liceo sia sempre più un ripiego per alcuni ragazzi che non sanno quale strada prendere nella loro vita. Emanuele Berger, direttore della Divisione della scuola non ha dubbi: «Era una decisione necessaria».
Berger, la scuola ticinese sembra essere sempre più selettiva. Conferma?
«Le persone che bocciano più di due volte nei primi tre anni di liceo non sono tantissime. E i casi eccezionali verrebbero comunque presi in considerazione. Però con questa misura si vuole responsabilizzare gli allievi. Sì, chiediamo più responsabilità. Anche alle famiglie».
È un dato di fatto: troppi ragazzi scelgono il liceo perché non sanno cosa altro fare. Cosa ne pensa?
«Per alcuni è proprio così. Ed è uno spreco per tutti. Sia per le famiglie, sia per lo Stato».
Non le sembra che, a volte, gli orientatori professionali non facciano abbastanza per evitare che questo accada?
«No. Io penso che gli orientatori facciano un ottimo lavoro…»
Qualcuno ipotizza di introdurre un esame d'ammissione al liceo. È fattibile?
«Questo sì che sarebbe discriminatorio. Non ha senso. Possiamo migliorare, invece, a livello di scuola media. Il secondo ciclo dovrebbe avere una funzione ancora più orientativa».
Sì, però la scuola media è già oberata di obblighi e di compiti. Non le sembra troppo?
«È vero, la scuola media è parecchio sollecitata. Però le complicazioni sociali con cui è confrontata non devono rappresentare una scusa per non assumersi i propri doveri».
La scuola media, per anni, è stata la "patria" dei livelli A e dei livelli B. Anche questo, in fondo, ha creato un meccanismo iper selettivo.
«Nella riforma della "scuola che verrà" i livelli non sono più previsti. Si applicherà una pedagogia differenziata in aula, flessibile».
La riforma è in consultazione. Si rischia di andare alle calende greche…
«No. Dal 2017 ci saranno tre istituti sperimentali, che per quattro anni testeranno questo nuovo concetto. Poi si vedrà se espandere l’idea anche al resto degli istituti».
Se i licei sono pieni di ragazzi lì per ripiego, forse è anche perché per anni l'apprendistato è stato visto come una via di serie B. Visto il giro di vite per i licei, pensa che la strada dell'apprendistato possa riacquistare prestigio?
«Non penso. È una questione culturale. In Svizzera tedesca l'apprendistato è considerato di più. Da noi meno, perché siamo più “latini”. Eppure, oggi un apprendistato, una volta svolta la maturità professionale, consente al giovane di fare anche un percorso di carattere universitario».
Sì, ma questo messaggio secondo lei sta passando?
«Credo di sì. E in questo credo che il Dipartimento stia facendo un lavoro egregio a livello di promozione. Va anche detto che per i posti di apprendistato l'offerta non è superiore alla domanda. I posti disponibili sono tutti occupati».
In generale, considerando anche i vincoli di Harmos nella scuola dell'infanzia ed elementare, non trova che la scuola stia mettendo un po' troppo sotto pressione i giovani, in età in cui forse dovrebbero essere un po' più spensierati?
«È tutto relativo. Alcuni pensano che stiamo preparando una scuola più leggera e addirittura divertente. In realtà non è vero nemmeno questo. Vogliamo però una scuola basata sulle competenze. E non sul nozionismo. Si punta sull'apprendimento, anziché sull'insegnamento. Si cerca un adattamento ai ritmi dell'allievo. Però bisogna essere chiari: la società chiede sempre più competenze. E anche la scuola deve tenerne conto».