Il prof. Sergio Rossi: «Trent’anni di neoliberismo incontrastato hanno ormai lasciato il segno nell’economia e nella società». Il capo degli industriali NRW: «Sindacato forte, azienda forte»
FRIBURGO - «Senza un sindacato forte non ci sono imprese forti e lavoratori soddisfatti». Il pensiero non è di un comunista, bensì di Luitwin Malmann, direttore dell'Associazione degli industriali del settore del metallo e dell'elettronica della Renania Settentrionale-Vestfalia, condiviso durante un'intervista trasmessa lo scorso martedì 7 giugno 2016 dall'emittente radiofonica WDR5, in occasione del 125° anno di fondazione della IG Metall che, con i suoi 2,27 milioni di iscritti, rappresenta il più grande sindacato del mondo (dal 2011 in crescita di iscritti).
L'affidabilità - Malmann non lascia adito a nessun fraintendimento e puntualizza: «Un sindacato forte da una parte e una forte associazione che riunisce i datori di lavoro dall'altra sono garanzia di accordi affidabili. Accordi che, a lungo termine, assicurano una pace sul lavoro e assicurano la possibilità alle aziende di pianificare con sicurezza il proprio lavoro. In questo modo si evita una guerriglia quotidiana nelle aziende per migliori condizioni di lavoro».
Ccl vendita, Borelli: «Si rende più difficile l'occupazione dei residenti» - Un altro mondo. Se si pensa al Ticino poi, alle prese con il Contratto Collettivo di Lavoro (Ccl) nel settore della vendita. Oggi su LaRegione, il segretario di Unia, Enrico Borelli, ha spiegato le ragioni del rifiuto di Unia. Con salari tra 3.200 e 3.600 franchi al mese lordi, secondo Borelli «si legalizza il dumping, si rende più difficile l’occupazione dei residenti e si mette in atto un’operazione controproducente rispetto agli interessi dei negozianti. Con questi salari non si favorisce certo il consumo in Ticino: molti andranno a fare la spesa in Italia». Per i lavoratori nel settore il nuovo Ccl «non è altro che una fotocopia del Codice delle Obbligazioni e della Legge sul lavoro».
Rossi: «L'apertura prolungata dei negozi deve permettere di aumentare occupazione e ridurre il precariato» - Sul CCL per il settore della vendita Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia e di economia monetaria nell’Università di Friburgo afferma: «Non conosco i dettagli dell’accordo. Considerando le informazioni pubblicate sulla stampa ticinese, ritengo che il livello dei salari minimi poteva essere leggermente maggiore per ciò che riguarda i negozi con più di 10 dipendenti. Oltre allo stipendio, però, occorre prestare la dovuta attenzione alle condizioni di lavoro e alla forma contrattuale. L’apertura prolungata dei negozi deve permettere di aumentare l’occupazione e di ridurre le forme di precariato in cui si trovano numerosi impiegati nella vendita al dettaglio. Spero che il CCL contribuisca a migliorare le condizioni di impiego del personale in questo settore, a tutto vantaggio della società e dell’economia ticinese. Molto dipenderà dall’atteggiamento dei datori di lavoro e in particolare dei grandi centri commerciali. La loro strategia si impone infatti ai negozi più piccoli che lottano per restare in attività in un mercato di modeste dimensioni nel Ticino ed esposto alla concorrenza oltre frontiera, dove si trova un più ampio assortimento che attira molti consumatori dalla vicina Svizzera indipendentemente dal tasso di cambio franco/euro e dagli orari di apertura dei negozi.”
«Il datore di lavoro non è un ente benefico e se ne approfitta se i lavoratori possono essere messi uno contro l'altro» - In questo contesto ricordiamo le parole di Claudia Peter, rappresentante del sindacato IG Metall di Gaggenau che, in un’intervista a Ticinonline a fine novembre 2014, dichiarava: «Le buone condizioni di lavoro che vigono nelle aziende sono il risultato di un conflitto. Il datore di lavoro di per sé non è un ente benefico, votato al sociale. Questo è il capitalismo e ciò non rappresenta nulla di nuovo. È ovvio che le aziende e l’economia tendono ad approfittarsi delle lacune legislative esistenti in un determinato paese. Se esse trovano un sistema dove i lavoratori possono essere messi uno contro l’altro, dove non ci sono contratti collettivi di lavoro o dove non valgono per tutti, è normale che i datori di lavoro se ne approfittino”.
«Nessun contributo al bene comune con il conflitto» - Sulle parole di Claudia Peter, ma anche di Malmann, Sergio Rossi lancia un monito: «in un sistema economico e finanziario globalizzato, non può esserci un sindacato forte se la controparte approfitta della propria posizione di forza danneggiando l’interesse generale nel lungo termine. Quando le imprese sono orientate all’ottenimento del massimo profitto a prescindere da qualsiasi considerazione di carattere sistemico, il sistema capitalista non è più in grado di garantire la stabilità economica e finanziaria necessaria per la stabilità delle relazioni sociali, nel mercato del lavoro come nel resto della società contemporanea. Non è possibile contribuire al bene comune attraverso una dinamica conflittuale in un sistema che ormai non si preoccupa più del benessere individuale e collettivo, ma che mira anzitutto al guadagno sfrenato fine a se stesso e soltanto per una piccola minoranza di persone».
Si potrà ancora continuare ad inseguire politiche neoliberali ancora per molto tempo?
«Trent’anni di neoliberismo incontrastato hanno ormai lasciato il segno nell’economia e nella società, intesa generalmente come un coacervo di interessi personali che sono inconciliabili per il bene della comunità nel suo insieme. La teoria del pendolo ci rammenta però che quando ci si spinge all’estremo di un sistema qualsiasi, esiste una forza incontrastabile che ci riporta in una posizione intermedia, obbligandoci a tornare sui nostri passi. L’intelligenza umana dovrebbe allora indurre alla riflessione, per poi agire in modo tale che la società possa progredire, consentendo di migliorare il tenore di vita anche delle persone più bisognose. La finanza deve essere strumentale per lo svolgimento delle attività economiche, che devono rimettere al centro delle loro preoccupazioni la soddisfazione dei bisogni umani, sviluppando la comunità in maniera sostenibile per l’ambiente circostante».