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TICINO«Dopo la denuncia, ferite dal silenzio delle autorità»

27.05.16 - 09:45
A quattro mesi dall’esplosione del caso, le foto osé di oltre 30 ragazzine ticinesi sono ancora su DropBox. Perché? Parla la mamma di una delle giovani coinvolte.
«Dopo la denuncia, ferite dal silenzio delle autorità»
A quattro mesi dall’esplosione del caso, le foto osé di oltre 30 ragazzine ticinesi sono ancora su DropBox. Perché? Parla la mamma di una delle giovani coinvolte.

LUGANO - «A fine gennaio, io e mia figlia siamo state in polizia a fare denuncia contro ignoti. Da allora nessuno ci ha più contattate». A raccontarlo è la madre di una delle oltre 30 ragazzine ticinesi coinvolte nello scandalo legato a immagini osé pubblicate su DropBox. La vicenda, scoperta da Ticinonline, aveva fatto discutere parecchio. A quattro mesi di distanza, tutte le fotografie hard sono ancora sulla piattaforma online, con un nuovo link. «Siamo amareggiate – riprende la nostra interlocutrice –. Il silenzio delle autorità ci ferisce. Siamo state abbandonate».

Leggerezza fatale - Immagini private, inviate a fidanzatini, che diventano virali. Una raccolta impressionante di scatti che hanno messo in seria difficoltà decine di ragazze e le rispettive famiglie. «Io ho già parlato con mia figlia – spiega la madre –. Lei sa di avere sbagliato. Ed è consapevole che periodicamente queste fotografie ritorneranno a galla. Deve mettersi il cuore in pace. Purtroppo chissà quanta gente le avrà scaricate sui propri computer o telefonini. Quello che però mi lascia perplessa è che le foto siano ancora su DropBox, visibili da chiunque».

Il ginepraio - Possibile che in quattro mesi gli inquirenti non siano riusciti a fermare i responsabili della folle iniziativa? L’inchiesta portata avanti dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli prosegue. «Diverse persone hanno sporto denuncia contro ignoti in seguito a questo caso – conferma Saverio Snider, portavoce del Ministero pubblico –. E gli esperti della polizia hanno interrogato alcuni possibili sospetti. Per ora non si riesce a stabilire con certezza chi ci sia a monte».

Foto virali - Ogni link sospetto nel frattempo è segnalato a chi gestisce la piattaforma di DropBox, azienda con sede giuridica negli Stati Uniti. «Il fatto – puntualizza Snider – è che fare chiudere un link di DropBox non significa fare sparire il problema. Perché se qualcuno si è scaricato le immagini sul proprio apparecchio, le potrà di nuovo ricaricare su DropBox aprendo un nuovo link. Per questo non è detto che chi ha messo in rete le fotografie la prima volta sia la stessa persona che l’ha fatto adesso».  

Sconforto - Insomma, un quadro che scoraggia le ragazze coinvolte e i rispettivi genitori. Ancora la nostra interlocutrice: «La polizia, a suo tempo, ci ha chiesto che tipo di risarcimento avremmo desiderato nel caso in cui i responsabili, un giorno, fossero stati identificati. Noi vogliamo solo che ci chiedano scusa guardandoci negli occhi. E dalle autorità vorremmo qualche parola di conforto. A volte ho l’impressione che la vicenda sia stata sottovalutata».

Prevenzione - Al Ministero pubblico respingono questa ipotesi. «Non abbiamo abbandonato nessuno – replica Snider –. Purtroppo queste situazioni sono incontrollabili. È davvero difficile anche per gli inquirenti venirne a capo. Bisogna parlare con Berna, con gli Stati Uniti. Le risposte faticano ad arrivare. Quello che davvero possiamo fare adesso è lavorare sulla prevenzione. Affinché nessun altra persona caschi più in queste trappole virtuali».

 

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