Fino a 20 anni fa il suggestivo borgo di “La Presa” era completamente nascosto dalla boscaglia. L’architetto Germano Mattei l’ha riportato alla luce
CEVIO - Una cappella, un campanile, due case torri, una fornace, tanti ruderi. Un villaggio fantasma che torna alla luce, dopo oltre 400 anni di oblio. È il nucleo di “La Presa”, su territorio di Bignasco (Cevio), in fondo alla Valle Bavona. A ridargli vita, dopo un lavoro ventennale, è l’architetto Germano Mattei. «Tutte le volte che andavo a Robiei - dice -, guardando dalla funivia, vedevo quel campanile che sbucava dalla boscaglia. E così mi sono incuriosito, appassionato alla causa».
Pazza idea - Mattei, oggi 64enne, ha lavorato a lungo per la Fondazione Valle Bavona. Ed è proprio in questo ambito che, a metà degli anni ’90, lancia la sua idea: recuperare l’affascinante borgo situato a circa 1000 metri sopra il livello del mare. «All’epoca stavamo portando avanti un programma di recupero per i terreni agricoli. Anche questo progetto, a cui hanno partecipato la SUPSI e le aziende forestali, rientrava in una simile casistica».
Popolo in fuga - Ed è una storia curiosa, quella di “La Presa”. Suggestiva. «Il villaggio è nato verso il 1300. Lo si capisce anche da una trave del campanile, risalente al 1366. Possiamo ipotizzare che nel nucleo abitassero tra le 50 e le 60 persone, probabilmente tutte dedite all’agricoltura. Gente che aveva cercato rifugio nella zona, fuggendo da chissà quali peripezie».
La paura delle frane - Tra il 1550 e l’inizio del 1600, la svolta. Alluvioni. Frane. E la paura. «Sappiamo che in quel periodo ci sono stati gravi problemi metereologici. Sui pendii sopra “La Presa” si era verificato un grosso scoscendimento. La gente, per lo spavento, ha abbandonato il villaggio, scendendo più a valle e iniziando a costruire il paesino di San Carlo. È in quegli anni che la Bavona ha cominciato a essere vista come una valle di transumanza».
Case che parlano - Dopo due decenni di lavoro, l’opera di recupero di “La Presa” è praticamente conclusa. «Adesso ci tocca solo mantenere il villaggio in buono stato. Penso di avere reso un bel servizio alla mia terra. Ci sono diverse persone che vengono dalla Svizzera tedesca per vedere “La Presa”. È un villaggio che parla, che ci racconta qualcosa del nostro passato».
Spazi angusti - Particolarmente interessanti sono le due case torri, strutturate su tre piani. Dalla cantina alla camera, passando per la piccola cucina. Spazi angusti in cui vivevano almeno 3 o 4 persone. «Chiaro, si tratta di una storia che ricostruisci soprattutto per sensazioni e per passaparola. La documentazione cartacea in merito è parecchio scarna».
Tesori nascosti - Quello di “La Presa” è solo uno dei tanti tesori nascosti sparsi per la Svizzera italiana. «Ce ne sono un po’ ovunque. Ad esempio in Valle Verzasca. Solo che nella maggior parte dei casi nessuno li recupera. E così restano immersi nella vegetazione. “La Presa” è dunque una piacevole eccezione. E oggi lo posso dire: abbiamo fatto tanta fatica, ma ne valeva proprio la pena».