Lo sfogo di Laura Simonazzi, mamma 46enne: «La mia bimba è un numero». Gli operatori: «Basta attacchi gratuiti»
MENDRISIO - «Ho deciso di espormi. E spero che questo gesto serva a fare prendere il coraggio ad altri genitori nella mia situazione». Parole dure, quelle di Laura Simonazzi, madre 46enne di Mendrisio. Dopo le accuse sempre più frequenti lanciate da varie personalità politiche (in primis lo psichiatra Orlando Del Don) contro il presunto cattivo operato delle Autorità regionali di protezione (Arp), ora una persona direttamente coinvolta rompe il suo personale silenzio. «Da tre anni ho a che fare con l’Arp in seguito alla separazione da mio marito. Mia figlia di 7 anni è trattata come un numero. Non l’hanno mai sentita».
Rottura difficile - È stata una rottura travagliata quella tra Laura e il suo uomo, condita da 6 mesi presso la casa Sant’Elisabetta di Besso, struttura d’accoglienza per donne in difficoltà. La madre di Mendrisio, che detiene la custodia della bambina, non nasconde i suoi problemi. Ammette di beneficiare di una rendita d’invalidità a causa di un problema fisico. «Ma non per questo sono incapace di intendere e di volere», puntualizza.
Disagio - Non essendo in buoni rapporti con l’ex coniuge, e avendo con lui una figlia minorenne, ecco che la donna si trova a doversi confrontare con l’Arp. La bimba ogni due settimane trascorre il weekend col papà. Tornando a casa a dormire. I genitori non si incontrano durante lo “scambio” della piccola. «Il problema è che la bimba sta vivendo questa situazione con grande disagio. Non è felice. Ha dei blocchi dovuti allo stress, alla stanchezza. Il nostro psicologo dice che questa spossatezza è dovuta alle imposizioni dell’Arp».
Burocrazia - Laura motiva così la sua rabbia. «Lì dentro non c’è né uno psicologo, né un esperto di bambini. Loro applicano le regole e basta. E obbligano mia figlia a fare cose che lei in realtà non vuole fare. Senza nemmeno consultarla. Lei è agitata, triste. Lo dico anche a mio svantaggio: sentite mia figlia, prima di prendere decisioni».
Lavoro al fronte - Dario Leo, segretario dell’Arp di Mendrisio, rimanda le critiche al mittente. «Basta con gli attacchi gratuiti alle Arp. In Ticino ci sono 4000 curatele. La stragrande maggioranza riguarda persone adulte in difficoltà. Per dipendenze varie, incapacità di amministrarsi. Poi ci occupiamo anche di minori. Non è facile trattare certi casi. A volte i genitori non collaborano e fanno di tutto per farsi ripicca tra loro. Qualsiasi misura di protezione istituita in favore di un adulto o di un minorenne limita la capacità di agire e di decidere di una persona o più persone. E questo, in uno Stato di diritto, ovviamente non piace».
Un concetto che non piace - Di norma l’età dell’ascolto dei bambini parte dai 6 anni. «È possibile - precisa Leo - già ascoltare un bambino di tre anni a discrezione del giudice o dell’Arp. In tal caso l’ascolto deve però essere affidato a specialisti. Curatori professionisti? Il nocciolo della questione non sta lì. Il fatto è che nei casi in cui i genitori non vadano d’accordo e il loro comportamento abbia gravi conseguenze sull’evoluzione personale del bambino, il nostro intervento è obbligatorio. E dalla nostra esperienza non ci pare che questo concetto sia sempre chiaro ai genitori».
Tutela - Franco Lardelli, presidente della Camera cantonale di protezione, aggiunge: «L’interesse del bambino, in queste situazioni, è sempre prioritario. Nella misura del possibile molte Arp tendono a non coinvolgere direttamente i bambini, specialmente quelli molto piccoli, è un modo per tutelarli».
Situazioni delicate - L’Arp solitamente subentra nei casi di separazione conflittuale. Con regole applicabili a seconda delle circostanze. «C’è un imposizione sui diritti di visita - puntualizza Lardelli - solo nelle situazioni in cui i genitori non riescono proprio a mettersi d’accordo tra loro. Nemmeno con l’aiuto del mediatore. Altrimenti non interferiamo».
Lavoro nascosto - Nei prossimi anni potrebbero esserci importanti riforme in merito alle Arp ticinesi. Leo, per ora, si sofferma su una riflessione personale. «Il nostro lavoro in generale è troppo facilmente oggetto di critiche. Senza che purtroppo si abbia la possibilità di rispondere adeguatamente. E questo a causa del segreto d’ufficio che ci impone di non divulgare informazioni riguardanti persone soggette a curatela o ad altre misure di protezione. Se la gente sapesse cosa vediamo tutti i giorni e conoscesse in maniera più approfondita il nostro lavoro probabilmente avrebbe un’altra opinione di noi».