Cerca e trova immobili

CANTONEL’uomo che cura le forme di Helvetia

31.07.15 - 06:05
Alain Wicht veglia sulla frontiera della Svizzera e sulla sua rappresentazione più evidente: i cippi. “Ci metto l’anima, ma non posso permettermi di dire ‘Dai, rubiamo del territorio agli italiani!’”
Fonte foto DO
L’uomo che cura le forme di Helvetia
Alain Wicht veglia sulla frontiera della Svizzera e sulla sua rappresentazione più evidente: i cippi. “Ci metto l’anima, ma non posso permettermi di dire ‘Dai, rubiamo del territorio agli italiani!’”

LUGANO - Camminando in montagna sarà capitato a tutti d’imbattersi in un cippo di confine, litica indicazione di dove finisce la Svizzera e dove inizia, nel nostro caso, l’Italia. Rappresentazioni materiali di una linea vista solo sulle mappe, queste pietre, posate anche più di 400 anni fa, sono circa 7mila e compaiono qua e là su buona parte dei 1899 chilometri della frontiera nazionale. A vegliare su di loro e sul confine stesso un solo uomo: Alain Wicht. 45 anni, originario di Bienne, il signor Wicht è coordinatore della frontiera nazionale presso swisstopo, l’Ufficio federale di topografia. Lo incontriamo all’inizio della sua seconda settimana di missione nel nostro Cantone. Ci dà appuntamento a Porto Ronco, destinazione isole di Brissago. Dopo una settimana d’interventi sui cippi delle Centovalli e del Mendrisiotto che gli sono costati ore e ore di cammino fra i boschi (“Il Ticino è il cantone più difficile dal punto di vista geografico perché è quello più selvaggio”, confessa), Wicht deve sistemare una pietra sull’isola giardino. La stele, “un bel cippo” ci dice, indica la direzione del confine che, qualche chilometro più a sudest, dividerà le acque svizzere da quelle italiane.

Dimenticatevi l’immagine del funzionario federale in giacca e cravatta: il nostro coordinatore porta maglietta, jeans e scarpe comode, un gilet di sicurezza arancione e un paio di borse traboccanti di attrezzi. Il suo lavoro, del resto, comprende sì il coordinamento con i Paesi confinanti e con i Cantoni, la gestione del budget per la manutenzione della frontiera e il controllo di mappe e misurazioni catastali, ma è anche un’occupazione squisitamente manuale. “È la cosa più bella – spiega –: sono al contempo pittore, geomatico, restauratore e diplomatico”. Così, mentre frega via vigorosamente il muschio con una spazzola di ferro e ridipinge le iscrizioni del cippo, ci racconta come si prende cura della frontiera.

“Siamo davvero fortunati: la gente ha rispetto per i cippi” - La parte più manuale del lavoro di Wicht, oltre alle misurazioni sul campo, consiste nel pulire e ridipingere i cippi e riparali se danneggiati. “Ne ho sistemato uno proprio settimana scorsa che era stato rovesciato da un’auto – ci racconta –. Di solito li si ripara, ma se non è possibile si commissiona un nuovo cippo”. Il vandalismo, però, non è una causa frequente di danneggiamento: “Da quel punto di vista abbiamo davvero fortuna: la gente ha un grande rispetto per questi cippi – si rallegra il nostro interlocutore –. In tutta la mia carriera ho trovato un solo cippo con una tag: se lo paragoniamo a quello che succede in città, il fenomeno praticamente non esiste…”.

“Non si scherza con la frontiera nazionale” - Le conseguenze per chi danneggia una di queste pietre, del resto, sono pesanti. “Se il danneggiamento è doloso o si tratta di un furto scatta la denuncia all’autorità giudiziaria. Gli articoli 139 e 268 del codice penale prevedono una multa o fino a cinque anni di carcere: non si scherza con la frontiera nazionale”, mette in guardia Wicht. Queste eventualità, fortunatamente, sono rarissime: “A me è capitato una sola volta di inoltrare una denuncia”, assicura.

“Con l’Italia ci spartiamo la frontiera a Chiasso” - Ogni cippo è proprietà comune di entrambe gli Stati confinanti e con ognuno dei nostri vicini vigono accordi diversi sulla loro manutenzione. Con la Germania si lavora insieme sul campo, con Francia, Austria e Liechtenstein si smezza la fattura a fine intervento. Con l’Italia ci si è divisi il lavoro: “Ci siamo spartiti la frontiera a Chiasso – spiega Wicht –: la Svizzera si occupa della manutenzione a ovest di Chiasso (Ticino e Vallese) e l’Italia si occupa del tratto a est di Chiasso (Ticino e Grigioni)”. In pratica le autorità della vicina penisola misurano e curano il confine in Valle di Muggio, Val Mara, Monte Boglia, Val Colla, Valle Morobbia, Mesolcina, Bregaglia e Poschiavo, per fermarci alla Svizzera italiana. Soddisfatti del loro operato? “Sì, molto direi – afferma Wicht –. Ovviamente ogni Paese ha le proprie aspettative e le nostre non coincidono sempre con quelle dell’Italia, ma è piacevole lavorare con gli italiani”.

Al lavoro al confine con la Germania: “È successo un pandemonio!” - Il confine è una zona sensibile e basta un niente per scaldare gli animi. Ne ha fatto esperienza il nostro Wicht quando, al lavoro sul confine con la Germania, è stato confrontato con un contadino confederato. "Una volta abbiamo fatto un intervento insieme a una squadra germanica su un terreno ed è arrivato un contadino svizzero che ci ha trattati malissimo – ricorda il coordinatore –. Si è lamentato che fossimo sul suo terreno senza avere chiesto un’autorizzazione, ha tirato fuori tutti i problemi dell’agricoltura e in più non riusciva a capire perché ci fosse un furgoncino con targhe tedesche: ha fatto un pandemonio!”.

“Non possiamo permetterci di dire ‘Dai, prendiamo del territorio agli italiani’” - Quando chiediamo al nostro ‘difensore della frontiera nazionale’ se il suo lavoro lo emozioni, ad avere la meglio è il suo animo da tecnico: “Sì, noi ci mettiamo l’anima e gli escursionisti apprezzano il nostro lavoro, ma prima di tutto ci atteniamo a delle coordinate e a delle descrizioni del tracciato che sono fisse, molto precise. Non abbiamo spazio per emozionarci troppo – premette Wicht –. Quando entra in gioco l’emozione c’è spesso la tendenza a favorire un lato piuttosto che l’altro e non abbiamo diritto a questo. Non ci permettiamo di barare e di dirci ‘Dai, prendiamo del territorio agli italiani’”.

“In Ticino il cippo più antico risale al 1559” - “I cippi sono molto antichi, in Ticino quelli più vecchi sono stati posati nel 1559. Poi ce ne sono del 1754, dell’800 e la maggior parte risale al periodo 1920-29, dopo la Prima guerra mondiale”, spiega il coordinatore della frontiera. All’antichità di queste pietre si deve anche la tradizione di indicarvi il nostro Paese con una ‘S’ anziché con la sigla internazionale ‘CH’: “A quei tempi il ‘CH’ non era senz’altro riconosciuto come la sigla ufficiale della Svizzera – spiega Wicht –. La ‘S’ inoltre era più rapida da incidere a scalpello rispetto al ‘CH’”.

“Da ragazzo volevo fare il boscaiolo” - Per ricoprire il suo ruolo molto particolare e unico Alain Wicht ha fatto un apprendistato da geomatico e frequentato una scuola tecnica. In seguito ha lavorato per diversi anni come geomatico per comuni e studi privati e infine ha affiancato per sei anni il suo predecessore, ora in pensione, apprendendo quel mix di diplomazia, regole della misurazione e capacità linguistiche indispensabile per il suo lavoro. Nei suoi sogni da ragazzo, però, c’era ben altro: “È buffo perché il mio sogno era fare il boscaiolo – racconta –. Quando mi sono informato, però, tutti mi hanno avvertito che a quarant’anni sarei scoppiato, avrei avuto la schiena a pezzi. A quel punto è stata mia madre a suggerirmi di fare il geomatico visto che andavo bene in matematica e nelle discipline tecniche: aveva ragione al 100% considerando che sono ancora in questa professione”.

 

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
COMMENTI
 
NOTIZIE PIÙ LETTE