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CANTONE“Gli operai dovrebbero guadagnare almeno 5'000 franchi al mese”

10.12.14 - 19:37
Stipendi e frontalieri, il presidente dell’Aiti Stefano Modenini difende il comparto produttivo ticinese: “Abbassare i costi, la Svizzera è troppo cara”
Foto Tipress
“Gli operai dovrebbero guadagnare almeno 5'000 franchi al mese”
Stipendi e frontalieri, il presidente dell’Aiti Stefano Modenini difende il comparto produttivo ticinese: “Abbassare i costi, la Svizzera è troppo cara”

LUGANO - "Articolo fuorviante. Frontalieri e residenti pagati uguali, ma i salari mensili sono comunque inferiori a 3000 franchi". Aveva scritto così il direttore dell'Associazione Industriali Ticinesi (AITI), Stefano Modenini su Twitter, in reazione ad un articolo pubblicato su Tio lo scorso 25 novembre, in cui veniva descritta la situazione dei frontalieri francesi in Germania, pagati come i tedeschi e con contratti collettivi di lavoro. In Germania, come ci aveva informato Claudia Peter, segretaria sindacale della IG Metall di Gaggenau, cittadina industriale del Baden-Württemberg, un operaio metalmeccanico guadagna circa 2.000 euro lordi. Di certo, come ha osservato Modenini, al di sotto dei 3.000 franchi lordi che guadagna un operaio in diverse realtà industriali ticinesi. E' anche vero che in Germania, nella zona dove siamo andati per il nostro servizio, un appartamento di 3 locali di circa 70 metri quadrati costa circa 130-150mila euro, un chilo di carne costa il 15% in meno che in Italia, un'auto nuova costa in media il 30% in meno che in Svizzera, la cassa malati per una operaia che guadagna 1900 euro con figlio a carico costa circa 120 euro al mese (figlio incluso), che vengono detratti dalla busta paga. La vita, rispetto alla Svizzera, è decisamente meno cara in Germania. Stefano Modenini è consapevole della realtà lavorativa e del trattamento salariale nel settore industriale ticinese e a tal proposito fa una precisazione: "in Ticino i residenti impiegati nelle industrie di solito svolgono mansioni di responsabilità e nell'amministrazione. Nel reparto produttivo praticamente non ci sono. Difficile trovare persone del luogo disposte a lavorare sui tre turni, notte compresa. E non scordiamoci che nell'industria il numero dei frontalieri è aumentato di 2.000 unità soltanto in oltre 30 anni rispetto ad altri settori che hanno portato il loro numero a 62mila".

"Salari svizzeri? Le industrie se ne andrebbero dal Ticino" - A Modenini abbiamo ricordato il principio che vige in Germania per quanto riguarda i settori produttivi: il trattamento salariale riservato ai dipendenti deve assicurare una vita dignitosa nel paese in cui si opera e si produce. Il rappresentante degli industriali ticinesi è consapevole della problematica e ritiene che, nel nostro Paese, vi è un problema: il costo della vita. "In Svizzera la vita è cara. Se le industrie presenti qui in Ticino dovessero pagare nei reparti produttivi salari svizzeri, i salari dovrebbero ammontare almeno a 5000 franchi al mese, se consideriamo, per esempio, il costo della cassa malati. Succederebbe che, buona parte delle industrie presenti sul territorio, se ne andrebbero dal Ticino". E pensare che il costo del lavoro in Ticino, come indica lo stesso Modenini, ha livelli simili all'Italia.

"Abbassare i prezzi in Svizzera" - Ma allora come mai le fabbriche sono off-limits per i lavoratori residenti in Ticino? Una volta Modenini disse che in futuro dovremo abituarci a vivere con meno. "La politica non affronta mai un nodo cruciale: i prezzi. In Svizzera sono molto cari e la strada da seguire sarebbe quella di ridurre i costi". Il rappresentante degli industriali ticinesi fa un esempio che riguarda proprio il suo settore: "Le forniture in Svizzera sono più costose rispetto agli altri paesi. Le grandi realtà si possono permettere di consorziarsi e creare gruppi di acquisto che, su larga scala, permettono un abbassamento dei prezzi. Ma le piccole e medie imprese non hanno le stesse possibilità. E' ovvio che se si dovessero intaccare certi interessi non si farebbe altro che andare ad attaccare le rendite di posizione già acquisite. Ciò non significa altro che andare a mettere in discussione parte del sistema economico su cui si regge la Svizzera." E le resistenze si sono manifestate anche in Consiglio nazionale, dove i tentativi di porre rimedio a livello legislativo sono naufragati anche lo scorso marzo, con la bocciatura della legge sui cartelli.

La politica industriale ticinese - Un altro nodo riguarda la politica industriale ticinese. Da anni ormai si sente dire che in Ticino si vuole mettere fine al "capannone e al tondino" per lasciar spazio alla "produzione con valore aggiunto". Facile a dirsi, a parlare di nuove Silicon Valley, di "produzione a valore aggiunto". Più difficile, invece, da realizzare. E Modenini lancia il monito: "Bisogna essere molto cauti a prendersela con le realtà produttive di questo Cantone. Anche perché generano pur sempre indotto economico e imposte. Perché quando se ne vanno, non è scontato riuscire a rimpiazzarle. Bisogna pertanto mettere in atto una politica economica tale che spinga l’innovazione tecnologica da un lato e la formazione dall’altro, in maniera da creare sempre più posti di lavoro a maggior valore aggiunto, che vadano a sostituire le attività meno o scarsamente qualificate. Qualche seria riflessione va fatta anche sull’uso del poco territorio ancora a disposizione. Io credo che se si mettesse finalmente da parte la perenne campagna elettorale vi sarebbe spazio per discutere insieme fra parti sociali, Stato e politica sul futuro del cantone Ticino".

I contratti collettivi in Ticino e il salario minimo - Modenini, infine, tornando sul tema del dumping salariale, lancia una provocazione al sindacato: "Se esistono contratti collettivi di lavoro in Ticino con certe paghe, mi chiedo dove fossero i sindacati quando ci sono stati gli accordi. Gli abusi non sono tollerabili, ritengo che le sanzioni debbano essere inasprite, ma non è certo irrigidendo il mercato del lavoro copiando paesi come l’Italia o la Francia che risolveremo i suoi problemi. E per tornare alla questione salariale dico una cosa: compito dell’imprenditore è quello di corrispondere un salario corretto alla prestazione del lavoratore, non quello di risolvere ogni problema sociale di questa società. Altrimenti dovremmo versare a tutti stipendi dai 5’000 franchi al mese in su ma probabilmente avremmo meno posti di lavoro e più disoccupazione. Quando la sinistra, altri partiti e movimenti o i sindacati chiedono il pagamento di salari dignitosi dovrebbero anche precisare cosa intendono con questo aggettivo. Come mai in tutti i paesi che hanno introdotto un salario minimo il suo livello è intorno ai 10-12 euro l’ora? Perché l’asticella non è stata posta più in alto, visto che comunque con 10-12 euro l’ora è difficile vivere per una famiglia? La risposta è che un salario minimo generalizzato troppo alto costa troppo e porta all’esclusione dal mondo del lavoro proprio dei lavoratori più deboli, cioè le persone poco qualificate e in parte anche le donne. Se l’imprenditore deve pagare un minimo uguale a tutti, scarterà i lavoratori meno validi a vantaggio dei più bravi oppure accelererà i processi di automazione in azienda, eliminando posti di lavoro e dunque costi. In una realtà come il Ticino un salario minimo collocato al livello sbagliato porterebbe ad un’invasione di lavoratori esteri alla ricerca di un salario garantito ancor più appetibile. Il mix giusto secondo me resta quello di un salario corretto in base alla mansione e alla prestazione del lavoratore, accompagnato da un sistema sociale moderno che interviene a sostegno dei più deboli e che per questo viene finanziato in misura maggiore da chi percepisce un reddito elevato, nonché da un controllo serrato del mercato del lavoro con l’applicazione di severe sanzioni per chi viola le regole. Chi fa il furbo deve sapere che verrà beccato con le mani nel sacco e dovrà pagare un prezzo molto alto, oggi purtroppo non è ancora così".

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