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ASCONA"Ticino turistico? Ma se diamo degli 'zucchini' agli svizzero tedeschi..."

07.12.10 - 13:46
Claudio Rossetti, direttore uscente del Monte Verità: "In questi anni ci siamo avvicinati al territorio. Ma serve uno sforzo anche sull'altro fronte, il ticinese è ancora troppo chiuso".
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"Ticino turistico? Ma se diamo degli 'zucchini' agli svizzero tedeschi..."
Claudio Rossetti, direttore uscente del Monte Verità: "In questi anni ci siamo avvicinati al territorio. Ma serve uno sforzo anche sull'altro fronte, il ticinese è ancora troppo chiuso".

ASCONA – Sta per chiudere una favola lunga nove anni. Claudio Rossetti, direttore del Monte Verità ad Ascona, lascerà la sua poltrona ad aprile. Con tante vittorie e anche qualche macchia, legata soprattutto alla situazione finanziaria della struttura. E poi un desiderio: che il concetto di ‘apertura’ da lui introdotto non vada perso. “Perché è giusto – sostiene – che il Monte Verità sia anche dei ticinesi. Fino a 10 anni fa non era assolutamente così”.
 
È vero che sono stati fatti molti passi in avanti. Oggi, però, il ticinese medio fa ancora fatica a identificarsi in questa struttura. Non trova?
"Non lo posso negare, certo. In questi anni abbiamo cercato di proporre iniziative sempre più destinate a un pubblico eterogeneo, abbiamo cercato di coinvolgere il territorio, le scuole. Ma la strada è ancora lunga, questione anche di mentalità. Lo sforzo non può essere fatto solo da una parte. Anche il ticinese deve metterci del suo". 
 
In che senso?
"Il fatto è che il ticinese medio ha un problema con le persone che vengono da fuori. Mi spiego meglio: il Monte Verità ha una chiara connotazione legata all’area svizzero tedesca. Come fa un ticinese a sentirlo proprio se fino all’altro ieri chiamava i turisti ‘zucchini’? Forse bisognerebbe ammettere che quella del Ticino non è una vera vocazione turistica. Il turista nel corso dei decenni è arrivato qui da noi e ha ‘conquistato’ questi posti perché sono belli. Il problema è che oggi, nel mondo della mobilità, è facile andare anche in altri posti belli. Per gli ‘zucchini’ non c’è più solo il Ticino. Forse è anche per questo che il turismo ticinese oggi è in difficoltà. Perché non abbiamo una vera vocazione e, contrariamente a ciò che si vuole fare credere, siamo piuttosto chiusi. È a questo livello che bisogna fare uno sforzo. Solo così un luogo come il Monte Verità potrà essere veramente anche dei ticinesi".
 
Per molti il Monte Verità equivale a esoterismo, intellettuali di sinistra e balabiott. Questa etichetta è un limite?

"Questi concetti rappresentano solo una parte della nostra lunghissima storia. È un peccato che oggi ci sia ancora qualcuno che riduca il Monte Verità a questo. Significa che non ha capito la nostra intenzione di intavolare un discorso a 360 gradi con il resto del mondo. D’altra parte basterebbe guardare il calendario dei nostri eventi per capire che le cose non sono più come 50 anni fa…"
 
Cosa intende dire?
Il nostro calendario è sempre più variegato e sempre meno di nicchia. Puntiamo su qualità ed esclusività, questo sì.
Perché i festival e le manifestazioni gratuite un po’ ci ostacolano. E quindi dobbiamo cercare di valorizzare esperienze che possono essere vissute solo da noi e non altrove.
 
Passiamo al tasto più dolente. Le finanze. Lei se ne va, ma la situazione finanziaria non è delle più rosee…
"È vero, ma bisogna contestualizzare. Nel 2002, quando sono arrivato, mi sono ritrovato delle perdite riportate per circa mezzo milione di franchi. Poi abbiamo dovuto fare un investimento di 4 milioni di franchi per il restauro degli stabili. Nel 2009, infine, anno della grande crisi economica, ci sono state perdite di gestione, come è accaduto in diverse altre strutture turistiche. L’andamento del 2010 ci dimostra però che le cose stanno migliorando e dunque sono fiducioso".
 
Si riuscirà a tornare a galla?
"Assolutamente sì, perché quello del Monte Verità deve essere visto come un progetto a medio-lungo termine. L’attività congressuale è per l’85% autofinanziata. Quella culturale lo è per il 70%. Per il resto ci basiamo sui sussidi del Cantone e sui fondi della nostra Fondazione. Piano piano i debiti saranno coperti. D’altra parte, e mi riferisco soprattutto ai quattro milioni spesi per i restauri, certi investimenti bisogna farli se si vuole davvero cambiare il modo di fare e vivere la cultura in un Paese".

P.M.
 

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