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LOCARNODall’uomo alla politica, le solitudini di due paesi

08.08.08 - 09:40
Due opere prime aprono il concorso: l’intenso e teso “Parque via” del messicano Enrique Rivero e il meno riuscito “Autumn” del turco Ozcan Alper.
Dall’uomo alla politica, le solitudini di due paesi
Due opere prime aprono il concorso: l’intenso e teso “Parque via” del messicano Enrique Rivero e il meno riuscito “Autumn” del turco Ozcan Alper.
di DANIELA PERSICO

La solitudine e le sue conseguen­ze. Il malessere sociale che si ampli­fica nell’isolamento umano e il do­lore esistenziale che cerca orizzonti desolati schivando ogni rapporto. La prima giornata del concorso interna­zionale si apre con due opere prime che puntano in alto: l’ambizione del messicano Enrique Rivero e del tur­co Ozcan Alper è di partire dal cor­po di un uomo per raccontare la di­mensione politica di due paesi.

Un obiettivo raggiunto da Parque via di Rivero, un film intenso e teso che nasce dall’attenta esplorazione di Città del Messico e dei suoi proble­mi sociali. Lontano dai soliti film d’inchiesta, il regista sceglie di rac­contare la condizione di un popolo, gli indios, ancorandosi a uno di lo­ro e alla sua personale storia. Beto è realmente un custode di una lussuo­sa villa: i lavori domestici, i silenzi, le fragili compagnie sono soltanto un’elaborazione della vera vita di Nolberto Coria. Il film si spinge ver­so i confini della finzione, dando spazio alla realtà e alla sua sempli­ce bellezza: la stilizzazione di ogni inquadratura sembra l’unico modo per raccontare la devozione di Beto, la cura con la quale pulisce la vetra­ta che lo allontana dal mondo, la me­ticolosità con cui strofina la splendi­da vasca da bagno che da troppo tempo nessuno utilizza. Il dolore di Beto è infatti quello di essere il mu­to custode di una villa vuota, uno spazio meraviglioso da dieci anni di­sabitato e ormai messo in vendita dalla proprietaria. Proprio l’atto del­la vendita è un punto di rottura per la vita di Beto. La preoccupazione di come sopravvivere senza l’impiego non è il problema principale per un uomo che ha come unici contatti so­ciali la stessa padrona e una prosti­tuta che viene a trovarlo due volte al­la settimana. Beto soffre di alienazio­ne, e si tratta proprio di alienazione lavorativa, non più causata dalla ca­tena di montaggio bensì dall’ango­lo di paradiso di cui è stato messo a unico custode. Fuori sembra regna­re soltanto il caos, l’umanità impaz­zita, le aggressioni e le violenze so­no l’unica immagine a tinte forti che la televisione riporta all’interno del­la solitudine domestica in cui l’uo­mo si culla. Per questo è particolar­mente forte che qui non ci sia un pa­drone, ma una gentile e altera padro­na: una donna anziana a cui rende­re omaggio e a cui portare devozio­ne. Immagine del potere (e anche – chissà – dell’amore) da venerare o sopprimere a seconda dei momen­ti. Il gesto disperato del finale, vera rivolta politica dell’uomo, chiude un film arrabbiato, alla ricerca della di­gnità per l’immagine del suo prota­gonista.

Un outsider è anche al centro di Au­tumn di Alpel: il film turco segue le vicende di uno dei tanti giovani at­tivisti politici che hanno passato molti anni in reclusione, non finen­do gli studi e abbandonando ogni at­tività. Il ritorno a casa di Yusuf, sul­le solitarie alture del Mar Nero, vor­rebbe essere un omaggio a queste giovinezze perdute per la lotta in fa­vore della democrazia. Il film pur­troppo si arena nella totale assenza di unità: mentre i toni cambiano e le immagini crescono in potenza evo­catrice, la costruzione della coscien­za del protagonista si perde in una serie d’inutili rimandi ai grandi ro­manzieri russi. E purtroppo la gra­zia non ha più le fattezze della pro­stituta gentile che – nonostante Do­stoievski – non riesce minimamen­te a liberare Yusuf dalle proprie os­sessioni.
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