07 ago 2008 - 19:05 Aggiornamento 15 nov 2014 - 07:23 0
Due solitudini a confronto: il modesto "Parque via" e l'interessante "Sonbahar"
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Due solitudini a confronto: il modesto "Parque via" e l'interessante "Sonbahar"
Due solitudini a confronto: il modesto "Parque via" e l'interessante "Sonbahar"
LOCARNO - Non è iniziato sotto il segno dell'allegria il concorso, e nemmeno con due esempi di capolavori cinematografici.
"Parque via"
(domani alle 21.30 a La Sala), primo film in concorso ed esordio cinematografico del sudamericano Enrique Rivero contiene le tipiche acerbità di ogni debutto. Il regista ritrae la solitudine di Beto, custode di una villa, che vive in una casa completamente vuota in attesa che venga venduta. E nell'attesa ha sviluppato una vera e propria malattia: l'incapacità di vivere nella realtà. Beto vive infatti come un recluso in un microcosmo fatto di routine, di silenzi e di gesti sempre uguali. I suoi unici contatti con il mondo esterno sono rappresentati dalle notizie di cronaca nera che guarda in tv, dalle sporadiche visite della padrona della villa, e dalle frequentazioni della prostituta Luba.
Un'esistenza di miseria e solitudine che si aggrava nel momento in cui la villa viene venduta e Beto è costretto ad andarsene.
Un film che si inserisce nella tradizione festivaliera fatta di interminabili silenzi, di lunghissimi piani sequenze, di gesti sempre uguali, che se da una
parte contribuiscono ad evidenziare la triste esistenza del protagonista, alla fine finiscono per pesare come un macigno sull'intera trama.
Lo stessa dimensione sociologica - il tentativo, dichiarato dal regista, di rappresentare la frattura sociale presente nel Messico di oggi nella
contrapposizione tra il vecchio impiegato e la proprietaria della villa - viene penalizzata a favore della dimensione prettamente umana ed esistenziale del
protagonista che finisce inevitabilmente per prendere il sopravvento. La scelta di girare in 16 mm "per riprendere la bellezza del reale" - come ha
dichiarato il regista - contribuisce a creare un ibrido tra fiction e documentario che non giova affatto al film.
Si distingue invece l'attore Norberto Coria, sulla cui vita il film è basato, efficace e perfettamente credibile nel triste personaggio di Beto.
Piè interessante invece il film turco
"Sonbahar
" (autunno) (domani alle 9.00 al Fevi) di Ozcan Alper. Storia di una devastante solitudine di un ex carcerato
politico che ha trascorso dieci anni di prigione. Ritornato nel paesino di origine deve fare i conti con una realtà che non gli appartiene, con una madre
malata e dove vivono solo vecchi. Tanto quanto basta per fargli capire che quel posto non è poi tanto diverso dalla prigione che ha appena lasciato. Se a ciò aggiungiamo i terribili ricordi della prigionia, ne viene fuori un'esistenza per niente idilliaca.
Nemmeno l'incontro con una prostituta che legge libri russi riesce a portarlo fuori da quell'abisso solitario e di estraniazione dal quale non sembra esserci
via d'uscita.
Un vinto dalla vita descritto con efficacia e perfetta credibilità dall'esordiente regista turco. Un'azzeccata colonna sonora e una fotografia riuscita
impreziosiscono un film che non passa di certo inosservato e contiene perfino qualche spazio di intima poesia come l'affettuoso rapporto tra il protagonista