di Stefano Pianca
L’applauso più convinto, ieri, durante la proiezione dei corti che partecipano alla competizione I Pardi di domani è stato quello tributato a Braedrabylta (tradotto Wrestling) del regista islandese Grimur Hakanarson. Un fatto che non deve stupire dal momento che il suo lavoro di diploma alla Film Academy di Praga, Slavek the Shit era stato selezionato nel 2004 a Cannes.
Racconto di alienazione e pregiudizi, Braedrabylta parla di due uomini che conducono di nascosto la loro travagliata relazione omosessuale in una brulla campagna islandese. Uno lavora alla perforazione di gallerie e vive con l’anziana madre invalida, l’altro fa l’agricoltore ed è papà di una bambina. Del primo risulta memorabile la scena dello sguardo catatonico sulla trivella e la gioia sfrenata per la caduta dell’ultimo diaframma sotterraneo. Misere consolazioni per andare avanti.
Alienati dal lavoro, gli abitanti del villaggio islandese hanno quale legante sociale una strana forma di lotta libera assai simile a quella in Svizzera. Ed è proprio durante una di queste gare che la relazione tra i due si manifesta, passando gradualmente dal combattimento frenato ad un contatto fisico che non lascia più dubbi negli spettatori allibiti. Il cortometraggio, una spanna ci è sembrato sopra tutti quelli visti ieri, si caratterizza per la pulizia cristallina delle inquadrature e del montaggio, oltre che per un’azzeccata colonna sonora.
Ci sembra meriti una citazione anche l’opera franco- libanese del regista Wissam Charaf dal titolo L’armée des fourmis. Giornalista e reporter il cineasta ha regalato ai presenti una riflessione sulle ferite della guerra. Di grande impatto il contrasto tra le vicende degli uomini e la natura libanese, resa in maniera veramente efficace.