di DANIELA PERSICO
Lo ha dichiarato anche Aki Kaurismäki: «Il loro cinema è l’unico degno in questi trent’anni». E proprio lui li ha chiamati qui a Locarno per presentare
Rosetta – la loro prima Palma d’Oro – unico film contemporaneo nella “Carta bianca” scelta da Kaurismäki. Una presenza importante per il Festival che quest’anno ha premiato l’emergente cinematografia belga con la presenza di due film in Competizione Internazionale (l’intimista Le dernier des fous e il film che chiuderà il concorso Ca rend heureux). Culturalmente diviso, è proprio il Belgio ad essere più volte citato da Nicolas Bideau come modello per la cinematografia locale: un cinema che sappia conciliare sperimentazione e pubblico, grazie ad un nuovo approccio sociale e etico al mezzo cinema. Precursori di questa nuova ondata (tra i giovani da segnalare Joachim Lafosse, già una volta a Locarno con Folie privée)
sono proprio Luc e Jean-Pierre Dardenne che da anni si occupano di portare avanti attraverso la loro piccola casa di produzione, il Collectif Dérives, un gruppo di autori che lavorano ai limiti tra finzione e documentario. Premiati da due Palme d’oro nell’arco di sette anni, i fratelli belgi hanno raggiunto nelle loro ultime opere uno stile inconfondibile: unici a mettere in scena il lavoro, a tematizzare la crisi della paternità e la violenta assenza d’incontro con l’altro nella società contemporanea. I loro personaggi sono monadi solitarie, capaci di portare nomi macchiati di storia (che sia la rivoluzionaria Rosetta o la dostojevskiana Sonia) sui corpi comuni presi dalle strade del Seraing. E proprio in quei paesaggi industriali, il documentarista Jean-Pierre Limosin ha seguito i due registi filmando Le home cinéma des frères Dardenne, una lezione di cinema che permette di scoprire l’estenuante lavoro con gli attori e le raffreddate scelte di regia. Presentato oggi e domani a Locarno (venerdì alle 14 e sabato alle 9 al Palavideo) il documentario è soltanto uno degli appuntamenti stimolanti della rassegna “A propos du cinéma”, una delle più interessanti aggiunte della direzione artistica Maire. Un modo per indagare il cinema nella sua genesi, lasciando spazio alla parola dei cineasti e in questo caso ai loro gesti e al loro “fare” cinema. E magari sorprendere “l’altro” di cui il cinema è il più complesso portatore: nello sguardo ostinato di una giovane donna che lotta per trovare un lavoro che finalmente si apre all’amore, o sollevando lo sguardo dal terreno fangoso verso un incerto fuoricampo.