Wenders- Fuksas, dialogo tra arti non incomunicabili. Il cineasta tedesco e il grande architetto discettano di film, città e palazzi, soffermandosi sul campo libero che l’artista deve lasciare al fruitore dell’opera.
È stato salutato da un subitaneo scroscio di pioggia il finale dell’incontro pubblico di ieri mattina con Wim Wenders e Massimiliano Fuksas, sotto la struttura del Forum Spazio/ Cinema, a pochi passi dal palazzo del FEVI. La conferenza, seguita da una robusta e interessata platea poliglotta, si inserisce nel ciclo di approfondimento “ In Progress”, nei quali il Festival del Film intende sviscerare per bene la tematica dell’interscambio tra le arti, del territorio di confine tra il cinema e altre espressioni artistiche. Ieri è stata la volta di Wim Wenders, fresco di premiazione col Pardo d’onore e reduce dalla proiezione in Piazza Grande di Don’t come knocking : a discorerre con lui, l’architetto Massimiliano Fuksas, attualmente impegnato in progetti come la nuova Fiera di Milano. La conferenza ha perso subito la seriosità pedantesca da circolo di iniziati, e s’è ben presto mutata in una chiacchierata gustosa, grazie alla brillantezza affabulatoria d’un Wenders assai coinvolgente per chi non aveva mai potuto ascoltarlo.
Che rapporto c’è dunque tra il cinema e l’architettura? Wenders ha pochi dubbi: « Le città contemporanee, le grandi metropoli come le conosciamo oggi, sono nate contemporaneamente al cinema. Entrambe sono invenzioni assai debitrici della ruota: il cinema, ricordiamoci, si fa con la cinepresa rotante, mentre le città moderne sono assolutamente impensabili senza ascensori ( chi si farebbe dieci piani tutti a piedi?), che a loro volta sono azionati da ruote » .
Fuksas, di rimando, provoca Wenders, asserendo che i registi sono dei maestri nel tener ferma la gente ( davanti a uno schermo), mentre gli architetti creano palazzi ove le persone possano muoversi e vivere. Ma anche per il grande architetto non c’è contrapposizione tra le due arti: « Quando costruisco un edificio, penso alle varie parti come alle numerose scene che un regista deve montare. Non delego mai ad altri il “ montaggio” » .
Già, ma che montaggio? Wenders ha una concezione del cinema particolarmente vicina all’architettura di Fuksas: « Così come un libro è più bello se lo si può “ leggere tra le righe”, il film riuscito è quello che spinge il pubblico a sognare, quello che presenta dei “ vuoti d’immagine” che consentano allo spettatore di farsi un “ suo” film mentre guarda il mio. Ciò nei film americani solitamente non avviene, sono compatti, tutti d’un pezzo, senza “ spazi tra le righe” » . Fuksas è d’accordo: « La grande architettura è senz’altro quella che si occupa dello spazio vuoto, del “ non costruito”. I grattacieli che ho progettato a Vienna non sono dei monoliti ( quelli lasciamoli a Kubrick), ma sono caratterizzati anche dagli spazi liberi » . Ciò che tarpa le ali a registi ed architetti, concludono, è spesso il fanatismo per la forma fine a sé stessa.
2001: Odissea nello spazio è superiore a Guerre Stellari perché non si esaurisce nella forma architettonica delle scene, ma s’affida al concetto, allo “ spazio tra le righe” che libera la fantasia dello spettatore. « La cosa migliore della forma è quando scompare » , conclude Fuksas.
( T. F.)