Siamo sul podio con altri due Paesi non comunitari, rivela uno studio. "Colpa" del successo economico, del protezionismo e del franco forte
ZURIGO - La Svizzera è il secondo Paese più caro d’Europa. Il primo è l’Islanda. Il terzo la Norvegia. Tutti Paesi che non fanno parte dell’Unione Europea.
A rivelarlo è il nuovo studio del Credit Suisse “Monitor Svizzera”, che sottolinea come i risultati economici di un Paese e il livello dei suoi prezzi siano collegati. Ovvero: i prezzi alti sono il rovescio della medaglia degli elevati standard di vita.
In Svizzera si riscontrano costi elevati in particolare nei settori della salute, dell’alloggio e dell’educazione. Lo stesso vale per la carne e alcuni alimenti come il formaggio, che godono di una certa protezione politica. A costare meno sono solo i mobili e l’elettronica, che non sono oggetto di alcuna protezione doganale. Il protezionismo della Svizzera, insomma, è corresponsabile per i prezzi elevati che ci troviamo a sborsare un po’ per tutto?
«La concorrenza spinge i mercati all’efficienza e determina di regola prezzi più bassi», conferma lo studio. Ma che cosa significherebbe un’ulteriore apertura del mercato svizzero? «Un’ulteriore apertura al mercato interno dell’Ue avrebbe di base degli effetti positivi per i consumatori, ma non ci si deve aspettare una massiccia riduzione dei prezzi», spiega il capo economista del Credit Suisse, Oliver Adler.
La colpa, però, sarebbe anche della nostra valuta nazionale: «Molti prezzi alti sono da imputare al franco forte», spiega Claude Maurer, economista dell’istituto di credito. «Se si volessero prezzi più bassi la Svizzera dovrebbe introdurre l'euro - aggiunge -: i cambi spiegano buona parte delle differenze di prezzo in Europa».
Ma volere salari alti e prezzi bassi non è una contraddizione? «È quanto vorrebbe qualsiasi Paese», premette Maurer. «Si tratta in fondo di una tensione che funziona da molla per l’economia - continua -. Le aziende cercano di fabbricare i propri prodotti in maniera più efficiente ed economica, per esempio trasferendo la produzione all’estero dove costa meno».