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SVIZZERALe armi per i boss calabresi arrivavano dalla Svizzera

17.10.17 - 10:28
Mitra, pistole e quant'altro erano trasportate da tale Josè Signorello, soggetto dedito tra l'altro ad estorsioni e traffico di droga
Le armi per i boss calabresi arrivavano dalla Svizzera
Mitra, pistole e quant'altro erano trasportate da tale Josè Signorello, soggetto dedito tra l'altro ad estorsioni e traffico di droga

LUGANO - Portano fin dentro i confini elvetici le indagini dei carabinieri italiani che, il 25 settembre scorso, hanno fatto irruzione nel capannone della ditta edile Dimafer a Voghera per sgominare un traffico internazionale di armi. 
 
Grazie al collaboratore di giustizia Giuseppe Dimasi, 29 anni, finito in manette nel novembre 2016, erano state sgominate le cosche Chindamo-Ferrentino e Lamari di Laureana di Borrello, con ramificazioni nell'Oltrepò Pavese e in Svizzera. 

Sempre nel 2016 gli investigatori scoprirono fori di armi da fuoco che, secondo le accuse del collaboratore di giustizia, erano state fatte arrivare dalla Svizzera da Josè Signorello, ed erano destinate alla Calabria. Signorello, anch’egli arrestato nel 2016, è indicato dal pentito come il referente della cosca in Svizzera e come il responsabile del fiume di armi che hanno attraversato le Alpi per giungere prima a Voghera, poi in Calabria. 

Armi di ogni tipo, come spiega Dimasi: «Da guerra come P38, glock, mitragliette e pistole 357 Magnum». Signorello compare insomma come il responsabile della cosca in Svizzera e quale autore di estorsioni a ristoranti, ai quali imponeva il pizzo. Tra i suoi business, secondo il pentito, anche il traffico di eroina: «Lavorava con gli albanesi e affermava che in Svizzera era tornato in voga l’uso di eroina. Signorello procurava armi, era colui che poi era addetto al trasporto delle stesse dalla Svizzera in Lombardia». Il compenso per il traffico illecito? «Contanti o droga». 

Tra le varie armi anche un kalashnikov conteso tra i boss Angelo Lamari e Marco Ferrentino. Anche questo fatto passare dalla dogana svizzera illegalmente. 

Le armi - riferiscono i quotidiani italiani - servivano ai componenti della cosca per mettere in pratica anche estorsioni. Marco Ferrentino secondo le accuse contribuì a una riscossione crediti per conto di un imprenditore edile: «Orchestrò e assunse la regia della tentata estorsione, ma le minacce furono perpetrate a mezzo telefono dalla Svizzera da parte di Josè Signorello», racconta il pentito agli inquirenti. Il tenore delle chiamate? «Paga i debiti, cornuto, animale, e guarda fuori che hai un regalino». Il "regalino", altro non era che una tanica di benzina e una busta contenente proiettili.

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