Secondo l'ultimo bollettino "Tangram" della CFR, lotta e prevenzione non devono limitarsi alla sola politica d'integrazione
BERNA - Un passaporto rossocrociato o un'integrazione riuscita non mettono al riparo dal razzismo in Svizzera. La politica di contrasto deve quindi interessare un settore di attività più ampio rispetto a quello dell'integrazione, avverte la Commissione federale contro il razzismo (CFR) nell'ultimo numero del suo bollettino "Tangram".
Il razzismo non colpisce soltanto gli stranieri: un svizzero di colore, una svizzera musulmana o di religione ebraica, oppure una famiglia jenisch possono essere oggetto di attacchi e discriminazioni di matrice razzista. Gli stereotipi sono duri a morire e se ne infischiano della nazionalità. E anche anche gli stranieri perfettamente integrati vi sono esposti, sottolinea la CFR.
Secondo diversi studiosi intervenuti in questo numero di "Tangram", la lotta e la prevenzione del razzismo non devono quindi limitarsi alla politica d'integrazione, per quanto efficace questa possa essere.
Essi notano comunque che da quando la prevenzione è stata inclusa nei programmi d'integrazione cantonali si sono registrati numerosi progressi: Cantoni e Comuni si attivano ora apertamente per combattere le discriminazioni. Il che, in passato, non era sempre il caso, come testimoniano alcuni operatori cantonali.
Ma rom e sinti sono tuttora deliberatamente emarginati e considerati "diversi" dagli enti pubblici, dai politici e dalla maggior parte della popolazione. Per Thomas Facchinetti, già delegato agli stranieri nel Cantone di Neuchâtel, è quindi essenziale includere un pacchetto di obiettivi di lotta, in particolare alla discriminazione razziale, nei programmi d'integrazione comuni sottoscritti da Confederazione e Cantoni.