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STRASBURGOCaso Jagmetti: Strasburgo, Svizzera non violò libera espressione

10.12.07 - 17:35
Caso Jagmetti: Strasburgo, Svizzera non violò libera espressione
STRASBURGO - La Svizzera non ha violato il diritto alla libera espressione condannando il giornalista Martin Stoll per la pubblicazione sulla "SonntagsZeitung" - nel gennaio del 1997, nel pieno delle polemiche sui fondi ebraici in giacenza - di una nota confidenziale dell'allora ambasciatore a Washington Carlo Jagmetti. Lo ha stabilito la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, ribaltando una sentenza della Quarta camera dello stesso tribunale.

Nel caso in questione la Grande Camera valuta gli "interessi protetti dalle autorità svizzere" preminenti rispetto all'interesse del lettore. Pur riconoscendo che gli articoli scritti dal giornalista erano "suscettibili di contribuire al dibattito pubblico sui fondi in giacenza", essa giudica che la divulgazione dei passaggi del rapporto dell'ambasciatore, in quel momento, poteva avere ripercussioni negative sullo svolgimento dei negoziati avviati dalla Svizzera. Secondo la Camera, le rivelazioni di Stoll erano di natura tale "da causare un pregiudizio considerevole agli interessi delle autorità svizzere". Da parte sua, il giornalista "non poteva ignorare che la divulgazione del rapporto era repressa dal codice penale". I giudici ritengono inoltre che "il contenuto dei suoi articoli era manifestamente riduttore e troncato e che il vocabolario impiegato da Stoll tendeva a prestare all'ambasciatore intenzioni antisemite". La corte rimprovera ancora al giornalista di aver voluto fare del "sensazionalismo" e "condivide l'opinione del governo svizzero e del Consiglio della stampa" secondo cui Stoll "ha avuto come prima intenzione non tanto d'informare il pubblico su una questione d'interesse generale, ma di fare del rapporto dell'ambasciatore Jagmetti un argomento di scandalo inutile". Essa conclude che non c'è dunque stata una violazione dell'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani sulla libertà di espressione.

Il 25 aprile 2006 la Quarta Camera di Strasburgo aveva stigmatizzato la condanna del giornalista della "SonntagsZeitung", "reo" di aver pubblicato, nel gennaio 1997, il contenuto confidenziale di una nota dell'ambasciatore Jagmetti nel pieno della tempesta sui fondi ebraici. Alcune espressioni dai toni bellicosi usate dal diplomatico - c'erano i termini "guerra" e "avversari" in relazione alla disputa - avevano suscitato una polemica tale ("la Svizzera neutrale è in guerra contro il popolo ebraico", aveva scritto un giornale israeliano) da indurre Jagmetti alle dimissioni. Su denuncia del Dipartimento federale degli affari esteri, il giornalista del domenicale fu condannato nel 1999 dalla giustizia zurighese a una multa di 4000 franchi, poi ridotta a 800, per pubblicazione di deliberazioni ufficiali segrete. Nel dicembre 2000, il Tribunale federale confermò la sentenza, fondata su una delle disposizioni più controverse del Codice penale svizzero, l'articolo 293.

Sentenziando sul ricorso di Stoll, Strasburgo giudicò la Svizzera troppo restrittiva in fatto di libertà di espressione. Berna non ha accettato la sentenza. Per la prima volta ha contestato una decisione di una delle camere di sette membri della Corte europea e ha chiesto la discussione di un caso da parte della Grande Camera, composta di 17 membri. La nuova sentenza favorevole alla Svizzera è stata presa dai giudici con 12 voti contro 5.



ATS
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