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EBEL"Diavolo" d'un Laporte: «LNA? In confronto a Montréal sono in vacanza»

12.01.17 - 07:01
L'head coach, fresco di rinnovo con il Fehérvár AV19, ci racconta la sua sfida in EBEL tra "calcoli", obiettivi e scoperte: «C'è tanto potenziale, il progetto è molto interessante»
"Diavolo" d'un Laporte: «LNA? In confronto a Montréal sono in vacanza»
L'head coach, fresco di rinnovo con il Fehérvár AV19, ci racconta la sua sfida in EBEL tra "calcoli", obiettivi e scoperte: «C'è tanto potenziale, il progetto è molto interessante»
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SZEKESFEHERVAR (Ungheria) - Sereno, allegro, disponibile e con la battuta pronta: fresco di rinnovo con il Fehérvár AV19 - squadra magiara che milita in EBEL -, Benoît Laporte ci racconta la sua sfida “austro-ungarica”, iniziata la scorsa estate. Una nuova città, un nuovo campionato, una nuova lingua: l’head coach 56enne si è calato con entusiasmo nel progetto dei Diavoli di Székesfehérvár, insegnando hockey in una realtà che ha tanta voglia di crescere.

Come si è arrivati a questo matrimonio? «All’inizio pensavo di prendermi un anno sabbatico e aspettare nuove occasioni in Svizzera o Germania, poi si è presentata questa opportunità e, dopo le belle parole spese da Diego Scandella e Pat Cortina, due amici che ben conoscono l’organizzazione del Fehérvár AV19, ho accettato: sono molto contento di questa scelta», spiega Laporte.

Contento, tanto da aver appena sottoscritto un nuovo accordo fino al 2018. «Esatto. C’è un buon progetto, ho trovato gente che lavora duro per la squadra. Mi trovo bene e anche la città mi piace, siamo situati a circa 40 minuti da Budapest».

Francese, inglese, tedesco e italiano sono lingue già padroneggiate, ora “sotto” con l’ungherese. «Sicuro! Prima di firmare ho posto una “condizione”: voglio imparare almeno le basi dell’ungherese, volevo avere a disposizione un professore che mi potesse aiutare».

Che hockey ha trovato? «All’inizio mi sono detto “waoh”, ho visto del potenziale, tante possibilità. Il programma è molto interessante, ci sono ben 300 giovani, 15 allenatori nel settore giovanile - che aiuto a progredire, in modo che tra 2-3 anni possano prendere il mio posto - e due squadre professionistiche (una in EBEL e il farm team in MOL Liga, ndr). È incredibile il progetto di crescita, si vogliono portare i ragazzi nell’élite. Ci sono buoni giocatori, veloci e con un ottimo pattinaggio, quel che mancava era “l’esperienza”, una struttura anche per incrementare la concorrenza interna. Negli ultimi anni il lavoro della Federazione ha aumentato tutto ciò: stanno facendo crescere la MOL Liga e tutto l’hockey ungherese».

Il Fehérvár AV19 gioca in EBEL, il massimo campionato austriaco, composto da 12 formazioni: otto austriache, una slovena, una italiana (il Bolzano), una ceca e appunto una ungherese. «Il livello della EBEL è un po’ inferiore rispetto alla DEL che, a sua volta, ritengo sia un po’ “sotto” alla LNA dove il gioco è più creativo. In EBEL si è un po’ più chiusi, ma il livello anche qui si sta alzando di anno in anno. Ora siamo in lotta per i playoff (i Diavoli sono decimi con 53 punti, a -3 dal settimo posto, ndr). Nel campionato austriaco le prime sei squadre accedono direttamente ai playoff, le altre 6 affrontano un girone intermedio di 10 partite dove, le prime due classificate, vanno poi a completare il quadro dei quarti di finale. Anche nella parte alta si affronta un girone di 10 partite. I club non partono con i punti totalizzati in regular season, ma funziona così: la prima inizia con 6 punti, la seconda con 4, la terza con 2, la quarta con 1, mentre la quinta e la sesta con 0. In questo modo si diminuisce il gap tra le squadre e tutte si possono battere fino alla fine per l’accesso ai playoff. Magari il mio amico Serge Aubin (head coach dei Vienna Capitals, ndr), non è contentissimo per questo sistema, perché adesso è in testa con 15 punti sulla seconda e, con qualche passo falso nel girone rischia di chiudere terzo o quarto, ma fa parte del gioco. Noi, da parte nostra, puntiamo a fare bene nel girone “basso” e centrare i playoff».

Magari non saranno playoff, ma lì la pazienza - dei dirigenti - non manca. In Svizzera si ha troppa fretta? «Lo scorso anno a Langnau persi il lavoro a metà marzo quando mancavano poche partite, non ho mai visto una cosa del genere. Qui è differente, si ha più pazienza. Tra ottobre e novembre abbiamo avuto una striscia negativa, ma la società ha visto come lavoriamo e siamo andati avanti. Loro sanno che non possono vincere il campionato ogni anno, ma si vuole progettare, far crescere i giovani e lavorare».

A livello di mercato ha già pensato a qualche innesto? Magari uno straniero “reduce” dalla LNA? «Credo che lo stipendio di uno straniero di LNA equivalga al mio budget per tutti gli stranieri… (ride, ndr). Se però qualcuno volesse provare qualcosa di differente, lo accoglierei volentieri…».

Qual è il limite in EBEL? «Noi abbiamo iniziato la stagione con 5 stranieri, l’anno prossimo vorrei partire con 6, tre attaccanti e tre difensori. Per gli stranieri qui è particolare: in ogni match, sul foglio partita, si può arrivare fino a 60 punti. I giocatori, in base alla loro età e provenienza, hanno valori differenti. Uno straniero ad esempio di norma vale 4 punti. Non è semplice, ogni partita bisogna fare attenzione al punteggio per non rischiare di perdere a tavolino. Noi non abbiamo di questi problemi "matematici", ma squadre con molti stranieri devono fare attenzione».

È stato difficile ambientarsi in Ungheria? «Qui la gente è molto gentile e disponibile. Non ci sono le Alpi, ma la vita è bella. Magari più tranquilla, differente, ma bella. Non è stato difficile ambientarsi, in realtà in oltre 20 anni da allenatore non ho mai fatto fatica».

Le manca qualcosa della Svizzera? «Ci sono stato per diversi anni, è il paese dove in futuro vorrei vivere: o lì o in Francia. Certo anche qui mi trovo bene. Curiosità extra-hockey? Qui ho scoperto anche una cucina differente… con qualche sorpresa positiva. Nel periodo natalizio, ad esempio, ho “ritrovato” il foie gras, uno dei prodotti tipici della cucina francese, anche sulle tavole ungheresi: ho scoperto che è una specialità anche di questa regione».

Capitolo “stampa”. In Svizzera c’è sempre molta pressione… lì? «Lo dico sempre ai miei amici: se l’allenatore dei Montréal Canadiens andasse ad allenare ad Ambrì o Zurigo, si renderebbe conto che a Montréal era in vacanza… (ride, ndr). La stampa canadese è molto dura, ma in Svizzera lo è ancora di più. Ad Ambrì ho sempre avuto un rapporto molto onesto con i giornalisti. Certo qui sono molto più tranquillo. In Svizzera c’è pressione, ma è una parte importante dell’avventura, fa parte del gioco: nel bene e nel male è meglio essere seguiti».

Segue ancora la LNA? «Si si, seguo tutto. Un giorno potrò avere un’altra possibilità, mi piacerebbe tornare. Nel caso in cui arrivasse un’offerta irrecusabile potrei tranquillamente discuterne con i dirigenti del Fehérvár AV19».

Ultima battuta, inevitabile... come vede l’Ambrì? «Ad Ambrì c’è sempre una buona motivazione, vogliono fare bene, ma quando qualcuno rende sotto le aspettative o ci sono 2-3 feriti si sente. Per raggiungere gli obiettivi ogni giocatore deve rendere al 100%, ovvero al massimo di quello che ci si aspetta. Ad ogni modo mi piace tanto la mentalità di Ambrì, ho molto rispetto del club, dei tifosi e della società. Sicuramente resto un tifoso», conclude Benoît Laporte.

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