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L'OSPITEDall'orgoglioso Silvio al nefasto Giulini, bye bye "uomo solo al comando"

11.05.16 - 11:11
L'apertura di Berlusconi alla cessione del Milan ha messo il punto sulla storia dei magnati nel calcio. Arno Rossini: «Negli ultimi anni tutto è cambiato. Ora servono imprenditori e progetti seri»
Dall'orgoglioso Silvio al nefasto Giulini, bye bye "uomo solo al comando"
L'apertura di Berlusconi alla cessione del Milan ha messo il punto sulla storia dei magnati nel calcio. Arno Rossini: «Negli ultimi anni tutto è cambiato. Ora servono imprenditori e progetti seri»
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MILANO (Italia) - L'ultimo è stato Berlusconi il quale, dopo il teatrino con Bee Taechaubol, ha dato l'ok alla trattativa per la cessione del 70% delle quote del suo Milan (per 500'000'000 di euro) a una cordata cinese. Prima di Silvio, in Italia, aveva mollato Moratti, aveva lasciato Garrone, avevevano ceduto tutti i grandi mecenati del pallone.

Gli "uomini soli al comando" delle società stanno diventando merce sempre più rara un po' ovunque e, dove resistono, stanno faticando. Questa è la verita.

Guardate il nostro calcio, quello ticinese: avrete altre - ancor più lampanti - prove. Renzetti, a Lugano, lotta ogni giorno per far quadrare i conti (e la squadra che ha messo insieme non è certo più che competitiva). A Bellinzona qualche anno fa è passato Giulini e ancora all'ombra dei castelli ne pagano le conseguenze. I Gilardi a Locarno hanno passato la mano quando le stagioni positive, a livello economico, si sono fatte rarissime.

Insomma, quello pallonaro non è più un mondo per ricconi romantici.
«Per nulla - è intervenuto Arno Rossini - i tempi ormai sono cambiati. Anche se hai quattrini, pure tanti, non è detto che tu riesca a spingere la tua squadra a grandi risultati. E poi il rischio di rimetterci parecchio, a livello economico, è sempre molto elevato. Berlusconi è un esempio lampante di quel che sta accadendo. È probabilmente l'uomo più potente ed è tra i più ricchi d'Italia ma non riesce più a rendere competitiva la sua creatura. E questo nonostante iniezioni di centinaia di milioni di euro. La famiglia lo ha spinto a vendere. Potete immaginare che dolore, che smacco, che delusione sia, per un uomo orgoglioso come lui, doversi far da parte».

Il club moderno è?
«Quello nel quale trovano spazio degli imprenditori veri. A tutti i livelli. Quello nel quale si danno grande peso alle figure che si occupano di marketing e di scouting».

Fino a 15-20 anni fa sarebbe bastato aprire il portafoglio.
«Poi le televisioni, il mercato, gli stipendi... tutto è cambiato. Se vuoi rimanere a galla, anzi, se vuoi essere competitivo, non ti puoi permettere solo di pagare, senza magari programmazione. Ti servono i professionisti, che spingano per cercare i giocatori migliori ai prezzi migliori, che si impegnino per dare visibilità al tuo club, che trovino sponsor e collaborazioni...».

Facile a dirsi.
«Qualcuno che ci riesce c'è, non è impossibile. Guardate, per esempio, il Sassuolo in Italia. Giorgio Squinzi, il presidente, è partito da lontano, ha fatto crescere i giovani, si è fatto lo stadio... e ora contende la qualificazione in Europa al Milan. Pensate al Thun: realtà minuscola ma nella quale si impegnano imprenditori seri. Il risultato è che la squadra si salva comodamente in Super League e il bilancio non è mai in passivo».

Sassuolo e Thun sono eccezioni. La sensazione è che i club che meglio vivono (o sopravvivono) sono quelli che rappresentano i grandi centri. Più grande è il bacino d'utenza più è facile reperir quattrini.
«Questo è chiaro. Se puoi contare su uno stadio sempre pieno, su un alto numero di tifosi, su una grande visibilità... è probabilmente più facile ottenere buoni risultati. Sia a livello economico che sportivo. Le piccole realtà però non devono sentirsi tagliate fuori: con le giuste idee e pensando prima di tutto a creare delle basi solide, possono levarsi soddisfazioni».

Imprescindibile nel calcio moderno è?
«Lo stadio».

Tornando per un attimo da noi: a Bellinzona ancora hanno la pelle d'oca quando pensano a questa parola. L'ex "pres" Gabriele Giulini lo nominava sempre.
«Eppure basta guardare quel che sta succendo in Europa per capire che l'impianto di proprietà, o comunque moderno, è sinonimo di solidità finanziaria. In Italia la Juve è una spanna sopra le altre, e non dimentichiamo dove si trovava qualche anno fa. In Germania i club sono tutti sanissimi e questo (anche) grazie alle strutture. In Premier? Uguale: stadio e diritti televisivi. È da lì che si deve ripartire».

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