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LOSANNAThorpe e il suo dramma sono la punta dell'iceberg. Lo psicologo: "Sportivi riqualificatevi"

05.02.14 - 07:30
Il dottor Piffaretti ci ha spiegato come evitare i traumi post-carriera: "È fondamentale che gli atleti comincino a progettare il futuro quando ancora sono sotto la luce dei riflettori"
Ti-Press
Thorpe e il suo dramma sono la punta dell'iceberg. Lo psicologo: "Sportivi riqualificatevi"
Il dottor Piffaretti ci ha spiegato come evitare i traumi post-carriera: "È fondamentale che gli atleti comincino a progettare il futuro quando ancora sono sotto la luce dei riflettori"
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LOSANNA – L’ultimo della lista, l’ultimo degli sportivi finito nella polvere, dopo una carriera fatta di gioie, soddisfazioni, grandi palcoscenici, flash di fotografi e interesse globale è stato Ian Thorpe. Il colosso australiano, squalo del nuoto prima dell’avvento di Michael Phelps, sta faticando nel tentativo di costruirsi un’esistenza normale. E per ora sta fallendo. Nemmeno il suo tentativo di rientrare nelle competizioni, nemmeno il suo passaggio per il tranquillo Ticino per disintossicarsi, staccare la mente e pensare solo ad allenarsi, è servito ad alcunché.

Fallita la qualificazione alla Londra olimpica, Thorpe è infatti tornato a mostrare i segni di quella depressione che già negli anni passati era arrivata a toccarlo. E con lei l’alcolismo, la perdita di fiducia, di stimoli…

Ma è davvero così complicato riciclarsi in una vita normale dopo essere stati delle star?
“Per alcuni è davvero difficile – ci dice l’apprezzato psicologo dello sport Mattia Piffaretti, Dottore in psicologia – più la carriera sportiva è stata appagante, ha regalato emozioni e soddisfazioni e più il salto, il passaggio alla “normalità”, è di fatto complicato”.

L’adrenalina, la competizione: è questo che più manca quando si smette di gareggiare?
“La depressione post carriera… è un discorso complesso da affrontare. Posso dire che, paradossalmente, l’atleta che ha costruito la propria fiducia attraverso il successo sportivo è più vulnerabile ed è più soggetto ad una fragilità interiore, che lo rende incapace di percepire il proprio valore al di là dei risultati. Inoltre, i ripetuti stress vissuti lungo tutti gli anni di pratica possono avere effetti destabilizzanti”.

Il rischio è importante?
“Il rischio è che il grande successo nella carriera di uno sportivo coincida con un grande vuoto interiore”.

C’è la possibilità di prevenire il trauma del cambiamento?
“Certamente – ha aggiunto il dottor Piffaretti – il segreto sta nell’autonomia: autonomia nel programmare la fine della propria carriera sportiva, disegnandosi, anche durante gli anni di maggior agonismo, un percorso alternativo allo sport che sfoci poi in una carriera post-atletica avvincente (e, ancora una volta, autonoma)”.

Dovrebbe insomma coltivare più interessi?
“Assolutamente. Gli studi hanno mostrato che un’accurata pianificazione unita alla decisione maturata in tutta libertà di porre fine alla propria avventura, riducono significativamente il senso di vuoto percepito da molti che staccano. Di fatto, ci sono meno problemi legati alla ricostruzione di un’identità al di là dello sport”.

Non solo a puck o pallone, ad auto o canestri, gli sportivi devono guardare al “dopo”…
“Oggi, a livello delle federazioni, o di Swiss Olympic, si sta tentando di riflettere sul come dare una mano ai tesserati in transizione attraverso una formazione. Tuttavia, questa riflessione - e ci tengo a sottolinearlo - deve essere fatta sull’arco di un’intera carriera. Attendere la fine per ritagliarsi e proiettarsi in nuovo progetto è un errore da non commettere. Fra le altre cose si rischia infatti di doversi reinventare quando ormai non si gode più di quel sostegno, quella fama o quella notorietà capaci di rendere l’inserimento professionale più facile”.

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