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CICLISMOPassano dal Ticino i soldi del doping

18.10.12 - 11:18
Secondo un'inchiesta pubblicata da "La Gazzetta dello Sport", dalla Bsi di Locarno sarebbero transitati i capitali, per gran parte sottratti al fisco italiano, utilizzati dagli atleti per l'acquisto di doping
Keystone
Passano dal Ticino i soldi del doping
Secondo un'inchiesta pubblicata da "La Gazzetta dello Sport", dalla Bsi di Locarno sarebbero transitati i capitali, per gran parte sottratti al fisco italiano, utilizzati dagli atleti per l'acquisto di doping
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LOCARNO -  La Banca della Svizzera Italiana di Locarno come centro dello smistamento di capitali a sostegno del doping internazionale. Questo è quanto emerge dall’inchiesta condotta dal quotidiano italiano La Gazzetta dello Sport sul sistema “malato” architettato dal Michele Ferrari e dai suoi collaboratori.

Che il dottore italiano, già condannato al carcere per frode sportiva ed esercizio abusivo della professione di farmacista e inibito a frequentare  tesserati Fci e Uci, fosse uno dei grandi capi del doping mondiale, lo si sapeva già. Che insieme con lui agissero personaggi poco puliti era chiaro. Negli anni non si è mai capito, in ogni modo, come il suo “sistema” potesse stare in piedi. Come gli atleti potessero contattarlo, ascoltarlo e pagarlo senza che nessuno se ne accorgesse.

Il coperchio a un vaso carico di liquami puzzolenti lo ha levato la rosea la quale ha provato a ricostruire tutti i passaggi di un operazione che, nel recente passato, ha profondamente segnato lo sport professionistico internazionale.

Secondo la Gazzetta il meccanismo era abbastanza semplice. Al centro di tutto c’era una banca locarnese, la BSI, sui cui conti tutte le società con sede o gestione non italiana effettuavano i pagamenti degli stipendi dei propri corridori. Parte di questi capitali, quelli relativi al contratto di immagine “in nero” firmato da tutti gli atleti coinvolti, ripartivano poi dall’istituto ticinese alla volta del Principato di Monaco, dove passavano attraverso la società T&F Sport Management di Claudio Tessera (che tratteneva il parte delle somme come compenso), per poi tornare indietro, “ripuliti” e alleggeriti solo della tassa monegasca (6%).

In pratica, in questo modo, ai ciclisti tornavano in tasca il 94% delle somme dei diritti d’immagine. Per questa operazione i magistrati italiani ipotizzano il reato di riciclaggio.

Tornate in sede, alla BSI, tali somme venivano infine utilizzate dai corridori per pagare le parcelle di Michele Ferrari, mister doping. I soldi venivano prelavati in contante e poi depositati sui conti del medico. O quello alla UBS di Neuchatel o quello al Credit Suisse di Saint Moritz.

Nella rete sono finite ben venti squadre e decine di atleti. A capo di tutto, oltre, appunto, al "dottore" ci sarebbero il figlio Stefano, il procuratore Raimondo Scimone, l’avvocato locarnese Rocco Taminelli (il quale ha in ogni caso già dichiarato la propria estraneità ai fatti) e il vicedirettore della filiale locarnese della Banca della Svizzera Italiana.

Di sviluppi, questo è certo, ce ne saranno ancora. E, ne siamo quasi certi, non saranno purtroppo positivi. Il mondo del ciclismo è pronto a incassare nuovi colpi…

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