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TICINOLa famiglia è sotto attacco da più parti! Lo Stato invece che difenderla pare volergli infliggere il colpo di grazia.

19.12.11 - 10:30
Papageno: in nome dei padri
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La famiglia è sotto attacco da più parti! Lo Stato invece che difenderla pare volergli infliggere il colpo di grazia.
Papageno: in nome dei padri

Già sessant’anni fa l’autorevole antropologa statunitense Margaret Mead, nel suo best seller "Maschio e femmina" scriveva: "In seno alla famiglia, ogni nuova generazione di ragazzi apprende ad essere sostegno adeguato e sovrappone alla mascolinità, implicita nella sua costituzione biologica, la parte di padre, che ha appreso dalla società. […] La paternità è un’invenzione sociale. Le testimonianze dimostrano che dobbiamo considerare la paternità in modo assai diverso dalla maternità. Gli uomini devono imparare a desiderare di provvedere ad altri e questo comportamento, essendo acquisito, non ha solide basi e può sparire facilmente, se le condizioni sociali non continuano a insegnarlo. Si potrebbe invece dire il contrario delle donne: esse sono madri a meno che non si insegni loro a negare l’istinto materno". Considerazioni fondamentali che terremo ben salde in mente per cercare di evidenziare in che maniera la politica familiare ticinese, ed il diritto di famiglia, si propongo di realizzarle e difenderle.

Per prima cosa constatiamo che, tra gli obiettivi della politica familiare ticinese, troviamo "l’affido esterno" di bambini anche piccoli, sotto i 3 anni. Esternalizzazione della custodia che dovrebbe contribuire a incrementare non l’uguaglianza fra padre e madre, quali in effetti si trovano ad essere in quanto genitori, ma quella tra uomo e donna. La custodia di bambini anche molto piccoli esterna al nucleo famigliare dovrebbe offrire la possibilità alle donne una migliore conciliazione tra vita familiare e professionale e in questo modo incrementare la natalità (Sic!). Di questi intenti possiamo leggere anche, ma non solo, nel rapporto, commissionato dalla Divisione dell’Azione sociale e delle Famiglie del Cantone Ticino, scaricabile da internet, dal titolo "Analisi della domanda e dell'offerta nelle strutture d'accoglienza della prima infanzia in Ticino" (Marzo 2011). Come possiamo facilmente intuire, il rapporto conclude affermando che, per poter raggiungere l’uguaglianza tra uomo e donna (ma non sono padre e madre?!) nel mondo del lavoro, è necessaria in Ticino la creazione di nidi dell’infanzia, vale a dire di nuovi posti in asili sovvenzionati dallo Stato per i bambini di 0-3 anni. Tuttavia, a mio avviso, sarebbe assolutamente necessario poter quanto prima disporre di un’altrettanto approfondita valutazione cantonale circa i bisogni dei bambini piccoli di questa fascia d’età, non da ultimo, come vivono un siffatto allontanamento dalla madre. Infatti, non sono forse i bambini in questione gli attori più deboli ed indifesi, e perciò da tutelare prima di chiunque altro? In relazione alle parole della Mead, non si sta proprio insegnando alle madri "a negare l’istinto materno" ed i bisogni primari del bambino per rientrare al più presto nel circuito economico e far grana? Selma Fraiberg, eminente psicoterapeuta e psicoanalista infantile, nel suo libro "Every Child’s Birgthright" a proposito dell’esternalizzazione della custodia come motivo di insicurezza e sofferenza per i bambini piccoli, da alcuni tuttavia negata, scriveva: "Questa teoria è stata contestata dallo psicologo di Harvard Jerome Kagan, che porta prove che neonati affidati a tempo pieno ai nidi possono in realtà crescere, svilupparsi senza alcuna menomazione intellettuale o emotiva, e senza danno per il legame madre-bambino. È il tipo di studio che le donne che devono – o vogliono – lavorare troveranno consolatorio. Ma è anche uno studio che non può essere condiviso senza tenere conto di una serie di "se" molto significativi: se chi si occupa del bambino è sensibile, affettuosa, responsabile e fissa – non una delle numerose, intercambiabili puericultrici, se il rapporto neonati-puericultrice è basso: 3 a 1, se la madre è presente in modo assiduo, prima e dopo il nido nella vita del bambino; e se l’affidamento al nido a tempo pieno comincia prima o dopo l’età della massima angoscia di separazione".

Passiamo ora a considerare l’attuale diritto di famiglia, in modo specifico quello che regola i casi di separazione. Ricordiamolo ancora una volta, in Ticino tocca più della metà delle coppie sposate. Qual è nei nostri tribunali l’odierna prassi quando una coppia con figli non si ama più? Quale destino riserva in questi casi ai minori e al genitore non affidatario e pertanto "escluso"? Il genitore escluso, è forse quello con il ruolo e l’identità genitoriale più "forte" oppure più "fragile" perché sempre a rischio di sparire se non appresa e sostenuta dalla società? Nel 95% circa dei casi, la prole rimane affidata alla madre. Al padre invece rimangono i "diritti di visita", 4 giorni al mese con i figli. Non di rado la madre ostacola, o tenta di farlo, l’esercizio dei diritti di visita. Lo può fare rendendosi irreperibile o, peggio, prendendo dimora a centinaia o migliaia di chilometri dal padre: è libera di farlo, è un suo diritto! Con la recente illuminata proposta della consigliera federale sig.ra Sommaruga potrà perfino farlo impunemente! In tutti questi casi, al bene ed ai bisogni dei figli, non è dato però sapere chi penserà! Rimane il fatto che, con questo diritto, da decenni si creano e moltiplicano i cosiddetti "orfani di padre vivo". Ma non è quel che la Mead sottolineava come pericolo sempre incombente? Vale a dire che, essendo da acquisire, l’essere padre non ha solide basi e può sparire facilmente, se le condizioni sociali non continuano a insegnarlo?

Siamo dinanzi ad uno dei tanti paradossi dei nostri tempi. La famiglia è sotto attacco da più parti. Lo Stato, chiamato a difenderla, invece che ricostruire e rinsaldare i legami e le forze familiari che la tengono unità, direttamente o indirettamente sostiene una politica familiare ed un diritto di famiglia che, di fatto, ci risultano volergli infliggere il colpo mortale. Da una parte si insegna metodicamente alle madri a negare l’istinto materno, affidando i loro compiti materni sempre più regolarmente e sempre più precocemente allo Stato, dall’altra, con l’esclusione forzata e legalizzata del padre dalla relazione con i figli, si spezza la catena genealogica dei padri e quindi la trasmissione della paternità che procede, e dovrebbe poter ininterrottamente proseguire, di padre in figlio. Il padre è padre perché ha un reddito o invece perché ha dei figli dei quali deve potersi occupare? Il ritorno paterno è da tempo reso irreversibile dalla morte dei riti e dei miti che lo interessano, da una cultura che pare volersi illudere di poterne fare a meno: il prezzo da pagare per questa grave perdita è, e sarà ancor più in futuro, certamente altissimo. Chi ha orecchie per intendere, intenda!

Roberto Flamminii, Educatore SUPSI, ospite della rubrica "Papageno: in nome dei padri"

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