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L'OSPITEDa Hayek una lezione di svizzeritudine ai politici

11.07.19 - 09:49
Lorenzo Quadri, Consigliere nazionale, Lega dei Ticinesi
Tipress (archivio)
Lorenzo Quadri
Lorenzo Quadri
Da Hayek una lezione di svizzeritudine ai politici
Lorenzo Quadri, Consigliere nazionale, Lega dei Ticinesi

I manager stranieri delle multinazionali, rappresentati da Economiesuisse, da tempo stanno procedendo ad un lavaggio del cervello a sostegno dell’accordo quadro istituzionale tra Svizzera ed UE. Le modalità sono sempre le solite: minacce, fake news, ricatti, sondaggi farlocchi.

Menare il can per l’aia

L’accordo quadro imporrebbe al nostro Paese la ripresa dinamica - che nel concreto significa automatica, non essendoci alcuna reale possibilità di scelta - del diritto comunitario, come pure i giudici stranieri della Corte europea di Giustizia.

Questi punti, oltre che inequivocabili, sono accettati dal Consiglio federale e dalla maggioranza PLR-PPD-PSS. L’esecutivo elvetico non ha infatti chiesto “chiarimenti” a Bruxelles a tal proposito. Si è limitato a sollevare questioni di contorno. Che la richiesta di chiarimenti sia semplicemente uno stratagemma a buon mercato per menare il can per l’aia in attesa delle elezioni federali, l’ha capito anche il Gigi di Viganello. La volontà politica di firmare l’accordo coloniale è data. Quella popolare, invece, no. Per la casta, dunque, la tempistica è determinante, onde scongiurare danni elettorali.

L’ennesima mistificazione

I manager stranieri facenti capo ad Economiesuisse bramano la firma dell’accordo quadro per meri interessi di saccoccia. Niente di strano: trattandosi di manager stranieri, delle prerogative e della sovranità della Svizzera non gliene potrebbe fregare di meno.

Inquietante è che sulla stessa lunghezza d’onda si trovi anche il triciclo PLR-PPD-PSS.

Eppure tentare di far passare l’accordo quadro come un’esigenza dell’economia è l’ennesima mistificazione, o fanfaluca che dir si voglia. Gli imprenditori, anche i grandi imprenditori, che si oppongono al trattato coloniale ci sono. Il presidente della direzione di Swatch, Nick Hayek, ha ribadito nei giorni scorsi in un’intervista la propria contrarietà all’accordo quadro, ribandendo che “il successo nell’esportazione di prodotti non ha nulla a che vedere con degli accordi”, ma dipende dalla qualità dei prodotti. Al proposito si può aggiungere che l’economia svizzera ha sempre esportato, e prima degli accordi bilaterali esportava più di ora.

Hayek si chiede poi perché “la Confederazione dovrebbe rinunciare ai suoi punti di forza per motivi di opportunismo a breve termine e allinearsi ai modelli di insuccesso di molti paesi europei”.

La fine dei bilaterali

Deve essere chiaro che l’accordo quadro istituzionale non è in alcun modo la continuazione della magnificata (e sopravvalutata) via bilaterale. E’ invece la sua fine. Infatti sancirebbe il legame – ovvero la sottomissione! – istituzionale della Svizzera a Bruxelles. Proprio quel legame che il popolo svizzero ha sempre nettamente rifiutato, ma che invece è, e rimane, obiettivo dell’establishment spalancatore di frontiere e sovranofobo.

A lezioni di svizzeritudine

Certo è inquietante che le maggioranze politiche elvetiche siano ormai ridotte a prendere lezioni di svizzeritudine da un imprenditore, Hayek, di origine libanese. Ciò dimostra fino a che punto la capitolazione davanti alle pretese dell’UE e la svendita del Paese e delle sue prerogative sia diventata abitudine compulsiva di una classe politica (?) sempre più allo sbando.

C’è da sperare che l’esempio di Hayek venga seguito anche da altri imprenditori. Di voci fuori dal coro euroturbo c’è bisogno come del pane, affinché il cittadino si renda conto che certi mantra venduti ed inculcati come verità assolute non sono per nulla tali.

Basti pensare che perfino la SECO, in un recente documento, sosterrebbe che la “libera circolazione delle persone non è più (?) così importante per la Svizzera”.

Verso il suicidio?

Una cosa è certa: nella prossima legislatura si deciderà il destino del nostro Paese. Se continuerà ad esistere come Stato sovrano ed indipendente o se si ridurrà ad una colonia dell’UE. Da certi passi non c’è ritorno. I cittadini pensino bene a quali formazioni politiche concedere il proprio sostegno in ottobre.

L’abitudine di votare in un modo ma di eleggere in un altro, continuando a premiare un partito per tradizione familiare o clientelare e non per le posizioni sui temi, rischia di trasformarsi da esercizio tafazziano in suicidio.

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