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L'OSPITEArmi: la posta in gioco è la nostra indipendenza

13.05.19 - 18:20
Lorenzo Quadri, Consigliere nazionale, Lega dei Ticinesi
Keystone - foto d'archivio
Armi: la posta in gioco è la nostra indipendenza
Lorenzo Quadri, Consigliere nazionale, Lega dei Ticinesi

Mancano ormai pochi giorni alla votazione sul Diktat disarmista dell’UE. Il fronte dei favorevoli all’ennesima genuflessione davanti a Bruxelles si è prodotto in un quantitativo di panzane che ha ben pochi precedenti.

Tentare di sdoganare la tesi farlocca che “accettando la direttiva disarmista per noi non cambierebbe niente” vuol dire prendere la gente per fessa. Non solo con un sì la maggioranza della popolazione verrebbe privata del diritto di possedere armi normalmente in commercio, ma un sì equivarrebbe ad una rottamazione delle nostre leggi, delle nostre tradizioni, delle nostre libertà e della nostra volontà popolare. E tutto questo per cosa? Per, ancora una volta, sottomettersi agli ordini di Bruxelles.

E’ allarmante che rappresentanti ticinesi alle Camere federali non capiscano, o fingano di non capire, che la posta in gioco non è il numero di colpi che può contenere un caricatore, bensì l’indipendenza della Svizzera ed i nostri diritti popolari, che adesso il triciclo PLR-PPD-PSS pretende di mettere fuori gioco ogni volta che a Bruxelles qualcuno solleva un sopracciglio.

E’ poi non solo evidente, ma apertamente dichiarato, che la direttiva disarmista sul cui recepimento voteremo il 19 maggio è solo il primo passo. Ogni 5 anni ci saranno inasprimenti. Con l’obiettivo di arrivare al disarmo totale del cittadini onesti, che la totalitaria UE considera nemici. Una concezione dei rapporti tra cittadino e Stato che è diametralmente opposta, e dunque inconciliabile, a quella vigente in Svizzera, basata sulla fiducia reciproca. E le maggioranze politiche vogliono ora gettare alle ortiche anche questo valore svizzero per compiacere i loro padroni di Bruxelles. La svendita del Paese continua!

E’ infatti manifesto che l’attuale diritto svizzero delle armi non rappresenta alcun problema. A nessuno – ad eccezione dei compagni rossoverdi – verrebbe in mente di stravolgerlo se non ci fosse una pretesa europea in questo senso. Nel febbraio 2011 i cittadini respinsero un’iniziativa di sinistra che proponeva limitazioni meno incisive di quelle attualmente sul tavolo. I partiti del cosiddetto centro si opposero a tale iniziativa. Ma oggi, tra i manutengoli del Diktat disarmista di Bruxelles, troviamo gli stessi parlamentari federali che 8 anni fa erano in prima fila nel comitato per la tutela dello statu quo. Come si spiega questa indecorosa giravolta? Semplice: perché adesso è l’UE a pretendere; e allora, secondo certi partiti e certi politici, “bisogna genuflettersi”! Ma a che livelli siamo scesi?

Quanto alla minaccia dell’espulsione della Svizzera da Schengen/Dublino: è semplicemente ridicola. La permanenza del nostro Paese nello spazio Schengen non è una questione giuridica, bensì politica. Nessuno a Bruxelles ha interesse ad “epurarci”. Ne conseguirebbe infatti la rinuncia ai contributi elvetici, che ammontano a svariate decine di milioni di Fr annui, e alle informazioni che la Svizzera fornisce al sistema. A parte questo, l’importanza della banca dati Schengen è ampiamente (e strumentalmente) sopravvalutata.

Va pure ricordato che la Svizzera aderisce a Schengen dal 2008; prima del 2008, il paese non viveva solo di pastorizia, come vorrebbero ora farci credere alcuni ambienti economici che per un franco svenderebbero la nonna, per cui figuriamoci la nazione. Nel 2008 c’erano più turisti di oggi, e non si formavano code chilometriche in dogana “causa visti”. Senza dimenticare che sono proprio gli accordi di Schengen a prescrivere le frontiere spalancate, con risultati deleteri per la sicurezza delle zone di confine (vedi l’epidemia di esplosioni ai bancomat).

Quando all’accordo di Dublino, quello che permette i famosi rinvii degli asilanti: esso è effettivamente minacciato, ma non certo da un eventuale rifiuto dei cittadini elvetici di farsi disarmare dai burocrati di Bruxelles, bensì dalle istanze europee a sostegno dell’immigrazione clandestina, che adesso viene ipocritamente definita “globale”. Le minacce all’accordo di Dublino vengono dall’UE e dal patto ONU sulla migrazione. Patto sostenuto proprio dalle stesse forze politiche che adesso si sciacquano la bocca con la fanfaluca di “Schengen/Dublino a rischio” nel goffo tentativo di giustificare l’ennesima capitolazione. Insomma, un coacervo di contraddizioni.

Votiamo un NO convinto alla direttiva UE sulle armi. Schengen non è in pericolo. La nostra indipedenza sì!

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