Cerca e trova immobili

OSPITESi può uscire dalla crisi?

20.04.17 - 08:46
Carlo Coen
TiPress
Si può uscire dalla crisi?
Carlo Coen

Si parla molto della forte crisi che attanaglia ormai tutto il commercio ticinese, e a parer mio il problema sostanziale, quello più importante, è che la gente al giorno d’oggi non ha più soldi in tasca. Si può dire tutto quello che si vuole, ma il problema sostanziale è questo. L’aumento costante ma inarrestabile delle spese fisse sono quello che sta veramente uccidendo tutto quanto: per poter spendere nei commerci, la gente deve poter avere dei soldi in tasca. Se vogliamo che tutto il commercio riprenda, e con loro anche i servizi, bisogna far si che diminuiscano le spese fisse. Se ciò accadesse, la gente avrebbe più soldi per spendere e il commercio riprenderebbe. E di conseguenza aumenterebbero anche i posti di lavoro.

Anche la politica ha le sue colpe. Se ogni volta che bisogna risolvere un problema o bisogna pareggiare i conti, lo si fa con una nuova tassa o con l’aumento di quelle esistenti, non si andrà da nessuna parte. Non si può costantemente, in nome del pareggio dei conti, aumentare o aggiungere nuove tasse. Affinché la gente sia più tranquilla e abbia più liquidità, specialmente in un momento di così grossa difficoltà dovrebbe essere prima di tutto lo stato a diminuire la pressione sui portafogli delle persone. Questo è l’unico modo per far girare nuovamente tutta l’economia. Ma finché si continua ad aumentare tutto, si andrà sempre peggio.

Fu John Maynard Keynes a capire per primo che l’economia di uno Stato non può funzionare come il piccolo bilancio dell’artigiano, che quando si accorge di essersi troppo indebitato procede con determinazione a tagliare ogni spesa che non sia assolutamente indispensabile. Il paradosso è che per lo Stato la politica del risparmio produce un effetto contrario a quello desiderato, perché i guadagni e le spese avvengono tutti nello stesso cerchio, quindi ogni taglio di spesa non compensato da un analogo incremento di spesa in qualcosa di diverso, diventa inevitabilmente una riduzione del Pil e una spinta verso la crisi. In concreto i tagli alla spesa in ambito sociale, dell’istruzione (sussidi di cassa malati, scuole, ...) come pure l’aumento delle tasse per i trasporti (tassa di collegamento, tassa di circolazione, ...) ecc. fatti sia a livello comunale che cantonale, si ripercuotono in una maggiore spesa fissa per i cittadini.

Come Keynes ha subito notato che, a causa dei tagli attuati dai governi dell’epoca (americani ed europei), le compagnie, incluso quelle che non erano state toccate seriamente dalla crisi, per semplice motivo di prudenza preferivano non spendere, non investire. Solo che se lo fanno tutti assieme l’economia va in recessione, le fabbriche chiudono, i disoccupati aumentano e si instaura un ciclo depressivo sempre più ampio e sempre più difficile da contrastare. Ed è ciò che il nostro cantone sta vivendo in questo momento. Keynes lo ha capito e ha perciò individuato nello Stato l’unico soggetto capace di rompere questa spirale negativa. Se i privati non possono spendere deve farlo lo Stato!

Le politiche keynesiane, costituite soprattutto da investimenti pubblici, tassazione progressiva e protezione sociale, risollevarono l’economia americana e segnarono la politica economica dell’Occidente fino agli anni ’70. Le teorie rappresentano una base di partenza per costruire nuove fondamenta per un’economia reale basata sulla regolamentazione e non solo sulla speculazione. L’obiettivo da perseguire è che i capitali, gli utili, i prodotti siano risorse a disposizione dei molti e non dei pochi. Questo è quello che ha generato il bum economico negli anni 60/70. Ed i vantaggi si erano visti con l’esplosione del ceto medio. E se vogliamo che ciò accada di nuovo, oggi dobbiamo, come allora, perseguire lo stesso obiettivo.

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE