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OSPITEPermessi facili: i corvi denunciano, gli Uffici del Cantone comunicano coi piccioni viaggiatori

20.02.17 - 15:00
di Natalia Ferrara, deputata PLRT al Gran Consiglio
Permessi facili: i corvi denunciano, gli Uffici del Cantone comunicano coi piccioni viaggiatori
di Natalia Ferrara, deputata PLRT al Gran Consiglio

Se persino il Vangelo (Matteo 18,7) ritiene che anche gli scandali possono servire, cerchiamo di trasformare quello dell’Ufficio permessi in un momento dolorosamente utile. Solo così cureremo davvero la ferita che si è purtroppo determinata nel rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni.

Fiducia minacciata tanto dai fatti oggetto della procedura penale quanto dalle notizie apparse ancora di recente a mezzo stampa: nuovi arresti, pesanti accuse lanciate da “anonimi corvi” sulla disorganizzazione dell’Ufficio e incertezza sulla migliore via da seguire per definire le responsabilità. 

Mi ripeto ma è importante: la forte presenza di persone straniere sul nostro territorio, e non solo in mansioni umili e con redditi bassi, comporta certamente il rischio di importare anche i tanti difetti di funzionamento dei rispettivi Paesi di provenienza. Ma, ed è questa la differenza decisiva tra un approccio meramente nazionalistico e uno responsabile, non è stigmatizzando gli stranieri in quanto tali che eviteremo contagi pericolosi, bensì unicamente rafforzando tutte le nostre istituzioni (per prima la pubblica amministrazione, ossia la più esposta). Per tenere concretamente lontane le brutte abitudini bisogna in sostanza soprattutto fare in modo che queste, da noi, non solo non paghino ma siano combattute e sanzionate, rapidamente e severamente.

Colpisce e risalta in questa vicenda un dato relativo al funzionamento dell’amministrazione pubblica, ovvero la apparente scarsa “messa in rete” dei processi decisionali. Dell’inchiesta in corso sappiamo che i permessi venivano chiesti in relazione ad una società edile ticinese, questa, in realtà, pare poi non aver pagato neanche uno stipendio, né oneri sociali, poiché cedeva questi lavoratori a terzi, che – e il dramma non è finito – pare sfruttassero costoro con paghe da fame. Ora, l’Ufficio che concede i permessi di lavoro aveva verificato, presso la Cassa cantonale di compensazione, se l’azienda in questione impiegasse o meno manodopera? Vale a dire se fosse realmente attiva oppure solo un paravento? Se non prima, almeno durante la (presunta) attività della società in questione qualcuno si è curato di che cosa si occupasse? Diversi sono i casi venuti alla luce negli ultimi anni, molti li ho toccati con mano al Ministero Pubblico, altri sono ormai ripetuti a mezzo stampa in una cronaca locale che fino a qualche tempo fa non ci sembrava possibile alle nostre latitudini. Il Canton Ticino del caporalato, dell’usura, della corruzione, di chi davvero è impiegato per società che però lo pagano molto meno del dovuto (e del dichiarato), ma anche di chi non lavorava affatto e figura dipendente con salari dorati, per poi percepire una lauta disoccupazione. O, ancora, i casi di amministratori di una moltitudine di società, in realtà uomini di paglia, oppure di quei filibustieri che fanno fallire società come cambiano le gomme dell’automobile.

Il problema è che da noi non esiste ancora una cultura della gestione coordinata e integrata dei processi decisionali pubblici, di modo che ogni informazione rilevante sia messa davanti agli occhi di chi decide, e ogni decisione sottoposta, prima, a tutti i detentori delle informazioni medesime. Ufficio permessi, ma anche quello di esecuzione e fallimenti, il Registro di commercio, la Cassa disoccupazione, ma anche quella di compensazione, e molti altri ancora.

La risposta si chiama riforma dell’amministrazione pubblica, di cui si parla dai tempi del famoso progetto Amministrazione 2000, per non risalire al disegno innovatore del “lago d’Orta”, addirittura del 1991. Da cittadina mi aspetto che il Consigliere di Stato responsabile del Dipartimento interessato investa la propria furia per andare finalmente al sodo. Cominciando, beninteso, dal suo Dipartimento, protagonista del recente scandalo, e poi chiedendo che tutto il Governo ed anche il Parlamento collaborino per rendere l’intero Stato più produttivo, il suo apparato più efficiente. Solo così potremo finalmente liberare davvero le molte energie e i grandi talenti umani che la nostra amministrazione contiene. Non solo avremo un servizio migliore, ma salveremo i funzionari più impegnati, vittime designate dei pigrismi, dipartimentalismi, corporativismi e via discorrendo.

Siamo rimasti indietro, è un dato di fatto: quando pensiamo di sganciarci dal Ticino Cantone di Comuni (oltre 200 fino a non troppi anni fa) per rilanciare anche l’efficienza amministrativa di questo nostro Ticino ormai prevalentemente aggregato? I due nuovi Comuni di Lugano e Bellinzona vantano oggi circa un terzo dell’intera popolazione cantonale. Quando questo cambiamento epocale avrà conseguenze anche sul modo con il quale il Cantone è organizzato? Oppure andremo avanti a sommare, aggiungere, duplicare, senza, di fatto, migliorare?

Amare il proprio Paese significa questo: ammettere i limiti attuali per superarli, tenendo ben presente che i confini da rafforzare non sono quelli a Chiasso ma, piuttosto, quelli tra correttezza e scorciatoia, furbizia e scrupolo, autonomia decisionale e conflitto di interessi, conoscenza personale e complicità reciproca, tolleranza e menefreghismo. Questo è, oggi, il vero compito dei patrioti: difendere il rispetto di regole, rispettando tutti quelli che le seguono ma combattendo senza quartiere i furbi di ogni estrazione. Come diceva un indimenticato politico inglese: ci vogliono umanità e severità, non l’una o l’altra.

 

 

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